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Il rock diventa letteratura: la prima volta di un cantautore fa arrabbiare gli scrittori

La decisione molto controversa dell'Accademia di Stoccolma lascia a bocca asciutta i favoriti Philip Roth, Don DeLillo e Thomas Pynchon. Per lui un altro riconoscimento a una lunga carriera che si è impegnata su molti fronti

Il rock diventa letteratura: la prima volta di un cantautore fa arrabbiare gli scrittori

Paolo Giordano

Bob Dylan, proprio lui, vince il premio Nobel per la letteratura e le reazioni sono una letteratura del dissenso. Se la percezione diffusa è simile al boato che accolto la proclamazione a Stoccolma (un artista così decisivo può anche meritare un riconoscimento così assoluto), tra i suoi colleghi rockstar e i suoi «antagonisti» letterati i mugugni non mancano. Intanto bisogna spiegare perché il Comitato dei Nobel abbia finalmente scelto proprio lui, dopo almeno due candidature negli ultimi vent'anni. «Ha creato una nuova espressione poetica nell'ambito della tradizione della grande canzone americana» è la motivazione. Ma non c'è solo questo. Da tanto e tanto tempo (Arafat docet, e pure il Nobel per la pace a Obama lo conferma) il Comitato sceglie di conferire premi destinati a suscitare scalpore e dibattito e reprimende più che a consacrare un talento puro.

Nel caso di Bob Dylan, che non sapeva di averlo vinto e che fino a ieri in tarda serata non ha commentato, si è raggiunta l'apoteosi.

Dopotutto lui non è solo uno dei personaggi più famosi in circolazione, e va bene, ma è anche una delle icone del Novecento, per di più una delle più controverse. Nato a Duluth nel Minnesota, piena primavera 1941, vero nome Robert Allen Zimmerman (in ebraico Zushe ben Avraham) si è presentato al mondo a inizio anni Sessanta come un alfiere del folk apparendo subito molto ispirato oppure molto scaltro. Alcune sue canzoni, tipo l'apologia del cambiamento di Blowin' in the wind o la paura del nucleare di A Hard Rain's A-Gonna Fall o le visioni di Mr Tambourine Man sono diventate manifesti generazionali, spesso piegati a minuscoli interessi ideologici o partitici che Dylan ha saputo sfruttare con un incontestabile talento manageriale (riuscendo persino a concedere i suoi brani per gli spot di banche o multinazionali). Il suo brano Like a Rolling Stone, dall'album Highway 61 Revisited del 1965, nel 2004 è stato votato da Rolling Stone come «la più bella di tutti i tempi».

È stato, in questo oltre mezzo secolo di musica, tutto e il suo contrario. L'alfiere di una generazione sedicente rivoluzionaria. L'eroe delle classifiche pop. Ora anche il vincitore, pari soltanto a George Bernard Shaw, sia di un Oscar che di un Nobel. Per di più, dagli anni Ottanta è sempre in tour, in ogni parte del mondo, anche nelle più imprevedibili visto il personaggio anti totalitario (ad esempio Cina e Vietnam) con quel Never Ending Tour, il giro di concerti senza interruzioni che è ormai leggendario e nel quale lui si diverte a sezionare, sbrindellare, stravolgere i classici del suo repertorio. Ora che è Nobel figurarsi, sarà un'apoteosi a ogni show e già ieri sera forse è iniziata la sarabanda.

Per adesso, in pieno stile Bob Dylan, le reazioni sono assai contrastanti. E a rimaner senza parole non sono stati soltanto i bookmakers (che lo davano 16 a 1) ma pure i legittimi intestatari del Nobel alla Letteratura, ossia gli scrittori.

Probabilmente i grandi delusi, anche loro americani, sono Philip Roth, Don DeLillo o Thomas Pynchon o, come aggiunge l'Osservatore Romano, anche Haruki Murakami. Non per nulla, la scelta dell'Accademia svedese non è stata, diciamo così, indolore. Ed è probabile che siano volate parole grosse, come lascia intuire la stampa svedese che è ovviamente molto informata di retroscena e indiscrezioni. Però stavolta ha portato al conferimento del premio dopo che, nel 1996 e nel 2004, le discussioni dei giurati l'avevano bloccata. Stavolta apriti cielo. Irvine Welsh, non proprio l'ultimo arrivato, scrive su Twitter che «questo è un premio pieno di nostalgia mal concepita, strappato dalla prostata rancida di senili hippy farfuglianti». È evidente che non gli piacciano i giri di parole...

In Italia Alessandro Baricco (molto contestato da Gianni Riotta) dice che «per quanto mi sforzi, non riesco a capire che cosa c'entri con la letteratura. È come se dessero un Grammy a Javier Marias perché c'è una bella musicalità nella sua narrativa. Allora anche gli architetti possono essere considerati poeti». In effetti, è proprio questo l'obiettivo del conferimento di un premio Nobel a un cantautore di indubbio e prestigiosissimo passato: scatenare reazioni, far parlare.

Da decenni si sente dire che Dylan è un poeta. Oppure che è un visionario capace di tracciare la linea della musica popolare sul sentiero aperto da Woody Guthrie e Pete Seeger, sempre carica di passione politica e volontà rivoluzionaria. Da qui a conferire un riconoscimento assoluto come il Nobel della Letteratura conferito nel tempo a Samuel Beckett o Eugenio Montale il passo è così lungo che se ne discuterà per anni. Ed è proprio questo ciò che si aspettano a Stoccolma.

In fondo anche il Nobel è spesso una questione di marketing strategico.

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