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Rosario, santi e Maria. Il Matteo "cristiano" scatena la guerra santa

Vaticano, gesuiti e "Famiglia cristiana" criticano l'ostentazione di simboli religiosi

Rosario, santi e Maria. Il Matteo "cristiano" scatena la guerra santa

Diavolo d'un Salvini. Parla tanto d'«islamizzazione», Eurabia e dello spauracchio di una nuova Jihad, la «guerra santa» contro gli infedeli, e poi fa scoppiare un conflitto di religione manco fosse papa Giulio II. Il quale, se pur non andava in giro armato di mitraglietta, s'accorciò il nome, da Giuliano che era, ammiccando al condottiero romano. Guerrafondaio lo fu, almeno al pari di come viene descritto il nostro ministro dell'Interno. Sul quale ora si potrebbe ben rovesciare l'anatema del Guicciardini verso un papa che «non riteneva di pontefice altro che l'abito e il nome » .

E difatti, che razza di cattolicesimo è quello del capo leghista? Quello che brandisce rosari e crocefissi come amuleti, dicono gli scandalizzati prelati. Colpa, forse, delle bizzoche della Prealpina, che continuano a inviargliene a iosa? Di sicuro per Matteo è un invito a nozze, brandire i segni della fede, incurante della fede stessa e dei suoi precetti, e raccomandarsi non l'anima ma il voto santo delle Europee «...ai sei Patroni d'Europa, Benedetto da Norcia, Brigida di Svezia, Caterina da Siena, Cirillo e Metodio, Teresa Benedetta della Croce: affidiamo a loro il nostro destino... E io personalmente affido la mia e la vostra vita al cuore immacolato di Maria che sono sicuro che ci porterà alla vittoria». Così parlò Matteo da Pizzighettone, sfidando gli strali che sarebbero piovuti dal Cielo. Primo fra tutti, quello di un mondo talmente distante da quella fede scaramantica e furbetta, da risultare impenetrabile, prim'ancora che incomprensibile, per Salvini. Il mondo gesuitico di Padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà cattolica, ovvero il raffinatissimo gotha cui appartiene Sua Santità Francesco e ogni difensore di Cristo dotato d'intelligenza tagliente al pari di spada. «Se prima si dava a Dio quel che invece sarebbe stato bene restasse nelle mani di Cesare, adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio», scrive Spadaro, raccomandando a Salvini di «non nominare il nome di Dio invano per i propri scopi...La coscienza critica e il discernimento dovrebbe aiutare a capire che non è un comizio politico il luogo per fare litanie (e in nome di valori che col Vangelo di Gesù nulla hanno a che fare)...». Matteo è accusato apertamente di strumentalizzazione, perché «la coscienza cristiana dovrebbe sussultare con sdegno e umiliazione nel vedersi così mercanteggiata e blandita... Davanti a Dio bisogna togliersi i sandali». E se Famiglia Cristiana grida al «sovranismo feticista», il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, scende in campo per una solenne bacchettata che pure non cancella l'oltraggio di quei fischi al Papa: «Invocare Dio per se stessi è pericoloso». L'ardimento del capo leghista nei confronti del Pontefice avrebbe tutta l'aria di quello che popolarmente si definisce «peccato di dio». Che ora le orgogliose rivendicazioni salviniane - «Sono credente e orgoglioso dei simboli, un conto è essere generosi un altro suicidarsi» -, non potranno mai lavare.

E se davvero «frati, suore, missionari, vescovi e cardinali» lo incitano «a tener duro» e pure «a non dirlo», come rivela lui, allora non solo non c'è fede, ma neppure più speranza.

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