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La "rottamata" Bindi torna nel parlamentino Pd

Nella direzione "derenzizzata» ricompare l'ex presidente: «Mai fidata di Matteo»

La "rottamata" Bindi torna nel parlamentino Pd

Per un Renzi che se ne va, c'è una Bindi che ritorna.

La prima riunione post-scissione della Direzione Pd vede presenti molti neo-ministri, dopo l'accordo con i Cinque Stelle per il governo Conte Due: da Roberto Gualtieri, titolare dell'Economia, a Lorenzo Guerini, alla Difesa. E vede anche la rentrée di Rosy Bindi, che si riaffaccia nel parlamentino dem per la prima volta da quando il leader era Matteo Renzi, che aveva osato includerla tra i personaggi da «rottamare» e nel 2018 le avrebbe negato la ottava ricandidatura al Parlamento. La ex presidente del Pd e della Commissione Antimafia (memorabili le sue paragrilline operazioni «liste pulite», contro De Luca e altri dem a lei invisi) torna dunque a farsi vedere, ora che il Pd è stato «derenzizzato», e spiega: «La scissione mi ha sorpreso? Ovviamente no: non mi sono mai fidata di lui».

Nel dibattito interno, nonostante il segretario Nicola Zingaretti tenti di lanciare il cuore oltre l'ostacolo e di annunciare grandi svolte (in novembre si riunirà a Bologna la conferenza programmatica dem, chiamata a scrivere un ambizioso «manifesto per l'Italia degli Anni 20»), è lo strappo renziano a tenere banco. E il più duro contro la decisione dell'ex premier è un (ex) renziano di ferro come Guerini: «Questa scissione credo sia un errore imperdonabile. L'ho detto fin dall'inizio. Sbagliata perché non ne capisco le ragioni politiche, sbagliata perché indebolisce il nostro campo, sbagliata perché va contro la natura e l'identità stessa del Pd». Zingaretti plaude: errore imperdonabile? «La penso come Guerini, ma lo lascio dire a lui altrimenti domani è il titolo dei giornali». Di certo, spiega, «non c'è stato un istante nel quale ho vissuto l'ipotesi di scissione come un elemento positivo o peggio una liberazione. Ma l'esatto opposto». È invece il suo vice Andrea Orlando ad acuire la polemica, prendendosela con chi, pur renziano, è rimasto nel Pd: «Dovrebbero lasciare gli incarichi nel partito», dice, rischiando di far saltare il clima «unitario» voluto dal segretario, che è pronto a far entrare le minoranze ex renziane negli organismi direttivi, proprio per ricucire gli strappi.

L'anomala alleanza con i grillini, invece, sembra ormai un dato acquisito, che non suscita più polemiche nè dubbi. E da estendere a ogni ambito politico, come dimostrano l'Umbria e lo strano caso del Campidoglio dove (sotto la discreta regia di Franceschini, la cui moglie siede in Consiglio comunale) la Raggi ha aperto alla «cooperazione» con i Dem anche a Roma.

Il segretario Zingaretti spiega: «Si devono verificare tutte le possibilità di allargare il nostro campo, a partire dai territori».

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