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Il saggio Gianni Letta: "Come con Monti: votare contro senza rompere l'alleanza"

L'eminenza azzurra ricorda: "Il professore fu appoggiato da Forza Italia e osteggiato dalla Lega"

Il saggio Gianni Letta: "Come con Monti: votare contro senza rompere l'alleanza"

Per assaporare l'atmosfera che c'è in Parlamento, dovevi fare capolino l'altra sera in un attico della Roma barocca, in una serata di festa. Lì, tra tanti invitati, con le loro immagini riflesse in uno specchio veneziano del '600, l'ex presidente della Camera, Pierferdinando Casini, eletto nelle liste del Pd, il ministro dei beni culturali (ancora per un po') del Pd, Dario Franceschini, e l'ex ministro delle Poste, Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, discutevano di questa strana legislatura che rischia di morire ancor prima di nascere. E l'aria che tira la scoprivi appena un malcapitato ha azzardato una battuta bonaria: «Se si va di nuovo alle elezioni, bisogna vedere se ve la scampate».

I tre, neppure fossero olimpioniche del nuoto sincronizzato, automaticamente e contemporaneamente, hanno risposto con il più famoso dei gesti scaramantici: le corna. Ognuno con il suo stile gestuale, ma con la stessa espressione stampata in faccia. Poi Casini, dall'alto dei suoi dieci mandati parlamentari, si è fatto portavoce dello stato d'animo del gruppo: «Come ho dimostrato, io me la scampo sempre!». Il come è tutto nel messaggio che ha inviato un attimo dopo a Silvio Berlusconi, nuovo arbitro almeno per il fischio di inizio di questa legislatura: «Ad un governo Di Maio-Salvini non può certo dare più dell'astensione. Ma, nel contempo, non farlo partire, sarebbe un errore».

E già, nel Transatlantico di Montecitorio e nei saloni di Palazzo Madama, al solo stormir di urne, i visi si fanno terrei. Ed è lì che ha fatto breccia l'ultimatum, inusuale, del Presidente Mattarella per il voto subito, con una data che nel giro di due giorni ha toccato tutte le domeniche di luglio: prima l'8, poi il 15, quindi il 22 e, ieri, addirittura il 29. Ma, come al solito, è possibile che dopo tante timori, la legislatura andrà avanti. Anche perché i primi a non voler votare sono proprio quelli che hanno minacciato le elezioni. Salvini, infatti, ha paura che con il voto a metà luglio, mezzo nord in vacanza diserti le urne. Di Maio, sull'altro versante, deve fronteggiare la rivolta dei suoi parlamentari. «Ma siamo matti è esplosa l'altro giorno la senatrice grillina, Michela Montevecchi date a Silvio ciò che vuole».

Appunto, e fa una certa impressione sentir chiamare per nome da una senatrice dei 5stelle il personaggio, che quella caricatura del Che che milita nei 5stelle, cioè Di Battista, ha definto «il male assoluto». Ma i tempi cambiano e la paura per le urne fa novanta. Del resto sono due giorni che Di Maio suona il violino verso Arcore: «Berlusconi è il meno responsabile della situazione», «non ci sono veti verso Berlusconi». Solo che il Cavaliere, a cui Salvini chiede al benedizione per far partire il governo, il via libera lo vuole dare a modo suo. Diciamoci la verità, Berlusconi ce l'ha, e non poco, con il leader della Lega, per come si è comportato: «Ma che lealtà ha uno che viene con noi da Mattarella e un attimo dopo si incontra con Di Maio!?». Ed ancora: «Come si può solo immaginare di fare un governo con gente come i grillini: vuole farlo? Si accomodi».

Per cui per due giorni è rimasto fermo sulle sue posizioni, su uno schema del tipo: «Io a luglio non voglio votare, perché mi penalizzerebbe. Ma con quella roba lì, non voglio avere nulla a che fare». Uno schema che nel suo stato maggiore ha creato due posizioni: i fautori del voto contro e quelli dell'astensione. La prima posizione è stata sposata da Niccolò Ghedini («La Lega si è comportata male») e teorizzata dal consigliere più ascoltato, Gianni Letta: «Nessun appoggio esterno, nessuna astensione. Voto contro questo governo, ma Forza Italia non griderà al tradimento, non romperà la coalizione, né aprirà crisi nelle alleanze locali. La nostra posizione sarà speculare a quella che la Lega assunse sul governo Monti e sul governo Letta: noi votavamo a favore e loro contro». Più orientati verso un'astensione benevola, Fedele Confalorieri e il solito Toti. Poi alle 17 di ieri pomeriggio il Cav è arrivato a questa sintesi: «Diamo l'astensione, almeno evitiamo di essere additati come irresponsabili. Non avremo nessun ministro. E alla prima menata che fanno, gli votiamo contro!». Insomma, un'astensione critica.

Una posizione determinata anche dall'evolvere della trattativa. Salvini, infatti, per due giorni ha chiesto «l'appoggio esterno di Forza Italia, senza subordinate, altrimenti il governo non si fa». Poi, è arrivato ad accettare l'idea dell'«astensione», dopo aver rintuzzato la richiesta dei grillini di avere la Bongiorno come premier e, portandoli, ad accettare (ma ancora non è detto) il nome di Giorgetti. Sembrerà strano, ma proprio Salvini è, ora, il più problematico sull'ipotesi di un governo Lega-5stelle. Il ragionamento è semplice: certo l'idea del governo del «cambiamento», accarezzata con David Casaleggio dal 4 marzo, lo attrae; come pure la possibilità di far la parte del leone nella scelta delle 300-400 nomine che sono sulla scrivania del governo; ma il leader leghista sa bene quanto sia inaffidabile il partner grillino e, sull'altro versante come una Forza Italia, fuori e distante dal governo, abbia ampi margini di manovra. Per non parlare dei problemi che verranno dall'anima più ortodossa dei 5stelle, quella che attraverso Marco Travaglio, nel caso di un'alleanza con la Lega, preconizzava «un Di Maio inseguito per strada da una folla inferocita».

Senza contare che semmai Forza Italia scegliesse la strada dell'astensione, l'approdo nel tempo sarebbe scontato: basta consultare gli annali della Repubblica per scoprire che nel 90% dei casi, un'astensione si è sempre trasformata in un voto contrario. E i primi segnali già ci sono. «Li aspettiamo sulla riva del fiume» prevede una senatrice, solitamente prudente, come Gabriella Giammanco. Mentre Renato Brunetta già preannuncia il voto contrario sulla fiducia: «e non sarò l'unico». Tant'è che dentro la Lega i dubbi non mancano: «L'ho detto a Matteo racconta il capogruppo dei senatori, Giammarco Centinaio che fare un governo senza Forza Italia, è pura follia. C'è da rimetterci solo l'osso del collo».

Anche perché una maggioranza di questo tipo, rischia di mettere in moto un processo di scomposizione e ricomposizione del quadro politico fin troppo prevedibile. L'ipotesi di un nuovo soggetto politico, che metta insieme destra moderata e sinistra moderata, potrebbe tornare in auge. Un'area come quella interpretata in Francia da Macron che torna nei ragionamenti di Matteo Renzi: «Berlusconi fa bene ad astenersi. Se nasce un governo Di Maio-Salvini, io ho fatto bingo. E avrò avuto anche ragione: se fossimo andati dietro ai ragionamenti dei vari Martina, Gentiloni, Veltroni avremmo dato vita ad un bipolarismo guidato da due populismi: uno a sinistra egemonizzato dai grillini, un altro a destra capeggiato dalla Lega.

Ora, invece, si apre la prospettiva di un confronto tra un polo populista e un polo razionale, nazionale, che vuole un confronto costruttivo con l'Europa».

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