Politica

Sala assolto, l'occhio benevolo dei pm

di Luca Fazzo

Le motivazioni con cui la Procura di Milano ha chiesto il 25 luglio l'archiviazione del procedimento penale a carico del sindaco Beppe Sala per le bugie messe nero su bianco nella sua dichiarazione dei beni e dei redditi sono giuridicamente solide: e a gridare vendetta è semmai il doppio binario che la legge prevede in tema di autocertificazione, punendo con il carcere i cittadini qualunque che dichiarano il falso e con una semplice sanzione amministrativa le medesime falsità se vengono da un politico o da un pubblico amministratore. In un paese normale, accadrebbe semmai il contrario: ma le leggi, com'è noto, non le fanno i giudici, cui spetta solo di applicarle e interpretarle. E in questo caso la interpretazione è ragionevole. Ma il caso delle frottole, plurime e pervicaci, con cui Mr. Expo ha accompagnato la sua corsa vittoriosa verso Palazzo Marino non si chiude certo così, e per più di un motivo. Almeno quattro motivi, per l'esattezza. Il primo è che la richiesta di proscioglimento di Sala è ancora in attesa di essere valutata dal giudice preliminare Anna Laura Marchiondelli: che già in passato ha dimostrato di non essere succube dei voleri della Procura, e che ben potrebbe - sulla base di interpretazioni della legge altrettanto lecite - rispedire al mittente il fascicolo, con l'ordine al pm di portare Sala sul banco degli imputati con l'accusa di falso. Sarebbe un fatto clamoroso, un macigno nell'ingranaggio della pax politico-giudiziaria che regna a Milano: ma conforterebbe chi crede ancora nella dialettica e nella divisione di ruoli all'interno della magistratura. En passant, metterebbe a rischio la permanenza di Sala a Palazzo Marino, nella poltrona su cui si è appena insediato circondato da imponenti (e un po' ridicoli) peana mediatici. Il secondo è che se pure accogliesse la richiesta della Procura, il giudice non manderebbe al macero le carte dell'inchiesta bensì trasmetterebbe tutto al prefetto, perché proceda contro Sala per violazione amministrativa delle norme sulla trasparenza: il sindaco non rischierebbe il carcere, ma è evidente che anche una semplice multa che certificasse la sua colpevolezza per le bugie pomposamente sottoscritte «sul mio onore» dal candidato del Pd ne macchierebbe irreparabilmente l'immagine di pubblico amministratore. Cosa avrebbe da dire per esempio Gherardo Colombo, chiamato a vigilare proprio sulla correttezza di chi governa la città? Il terzo motivo è che nessuna archiviazione può cancellare la gravità delle bugie attestate da Sala, e la puerilità delle scuse accampate per avere omesso nelle sue dichiarazioni giurate beni, palazzi, società per azioni, investimenti. Distrazioni che fanno impallidire quelle che a Roma rischiano di costare la testa a Luigi Di Maio. Il quarto è che l'intera vicenda giudiziaria di Beppe Sala è stata alterata dal trattamento di riguardo che l'uomo del Pd ha ricevuto dalla Procura di Milano dal punto di vista mediatico: in un palazzo di giustizia dove le fughe di notizie sono prassi costante, l'unica inchiesta tenuta rigorosamente segreta è stata quella a carico di Mr. Expo: della cui esistenza si è saputo solo il 23 giugno, a ballottaggio avvenuto e a poltrona conquistata.

Ma qui, come per gli arbitri di Moggi, è difficile capire dove finisca la sudditanza e dove cominci la complicità.

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