Economia

Salvataggio Montepaschi ecco chi rischia di più

Tre gli scenari possibili. Cosa succede ad azioni e bond se scatta la garanzia statale o il bail-in

Salvataggio Montepaschi ecco chi rischia di più

Whatever it takes. A qualsiasi costo. Il motto del numero uno della Bce, Mario Draghi, può essere applicato anche al Monte dei Paschi. Che deve essere salvato, a qualsiasi costo appunto. Ma chi pagherà il conto? Per rispondere bisognerà attendere il corso degli eventi nei prossimi giorni. Gli scenari aperti sono, al momento, essenzialmente tre.

Il primo, è quello più indolore per i piccoli risparmiatori perché a pagare sarà soprattutto il mercato. Se il piano «A» dei vertici del Monte andrà in porto entro il 31 dicembre a far uscire dal tunnel la banca senese saranno gli investitori privati che decideranno di puntare su Rocca Salimbeni. Anche in questo caso però il cosiddetto retail che ha in portafoglio obbligazioni subordinate della banca senese dovrà dare il suo contributo. A cominciare da quelli titolari ad esempio del bond subordinato da due miliardi emesso nel 2008 per finanziare l'acquisizione di Antonveneta. Chi è rimasto escluso dalla conversione di due settimane fa (per le cautele imposte dalla Consob ai profili non compatibili con un investimento azionario in base alle norme Mifid) nonostante l'avesse esplicitamente richiesta, potrebbe farlo adesso se la Commissione toglierà questo filtro come richiesto dalla banca. Visto il rischio di nazionalizzazione, l'alternativa per questi risparmiatori è tra la conversione volontaria a premio dei titoli, cioè al valore nominale nonostante un prezzo di mercato pressoché dimezzato e una conversione obbligatoria a sconto, che vedrebbe bruciata buona parte dell'investimento al momento della trasformazione in azioni.

Seconda ipotesi in caso di fallimento della prima sarà lo Stato ad aprire il paracadute pubblico. Il Tesoro, già azionista con il 4% di Mps, potrebbe comprare 2 miliardi di euro in azioni acquistando bond junior che lo farebbero salire nel capitale del Monte fino a controllare l'istituto. Nell'ambito di un programma di burden sharing, ovvero condivisione di costi, il governo potrebbe dunque comprare tutti i bond subordinati che saranno convertiti in titoli azionari. L'operazione coinvolgerebbe anche gli obbligazionisti retail ma con forme di ristoro garantite attraverso degli strumenti finanziari adeguati. La mossa eviterebbe il ricorso al bail in ed equivale a un aiuto di Stato pur nel rispetto delle normative Ue. È tutto disciplinato dalla direttiva europea sulla risoluzione delle banche.

Terza soluzione il bail in. Ovvero la risoluzione della banca senese con le nuove regole in vigore dallo scorso gennaio, il cui impatto è stato stimato da Mps in 13 miliardi di euro. I 5 milioni di correntisti del Monte, parteciperebbero al riparto delle perdite previste solo per la parte eccedente i 100 mila euro. Significa che i depositi fino a questa cifra sono tutelati. Se il conto è cointestato la cifra si intende per ciascun intestatario. Ad esempio nel caso di due persone sale a 200mila euro. Insomma, in caso di fallimento, i correntisti più «ricchi» possono essere chiamati a coprire le perdite per la somma che supera i fatidici centomila euro, ma solo dopo gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati. I titoli di questi ultimi verrebbero azzerati. E sarebbero coinvolti anche i titolari di bond ordinari e senior.

E gli azionisti? Quelli del Monte sono circa 150mila, tra cui moltissimi «piccoli». Per chi ha azioni Mps in tasca da più di sedici mesi, la perdita di valore supera il 90%. Nel caso di un bail in i titoli azionari vengono azzerati. Al momento, però, le ipotesi di salvataggio sul tavolo non prevedono l'ipotesi del fallimento.

In caso di intervento dello Stato, sia che questo avvenga nell'ambito della legge europea sia che il governo decida di andare incontro ad una procedura di infrazione, gli azionisti potrebbero andare incontro a ulteriori diluizioni e deprezzamenti.

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