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Salve 500 aziende, ma le trivellazioni si sono azzerate

Il business risparmiato dal voto è di mezzo miliardo. Il vero problema però sono i veti ambientalisti già in vigore

Salve 500 aziende, ma le trivellazioni si sono azzerate

Roma Posti di lavoro salvati, aziende che non chiuderanno i battenti e concessioni governative confermate, con benefici per l'economia pubblica e privata. Il referendum anti trivelle non è passato, e per molti è una buona notizia. Ma il fronte del no alle trivelle nella sua accezione più ampia la sua battaglia l'ha già vinta. E non da oggi, visto che le materie prime made in Italy interessano sempre meno le grandi compagnie. Troppi ostacoli, proteste facili e zero investimenti.

I giacimenti che erano a rischio erano 44, 90 le piattaforme entro le 12 miglia marine che non avrebbero vista rinnovata la licenza. I posti di lavoro direttamente interessati non erano tanti, intorno a 5.000, ma i sindacati del settore hanno segnalato che l'indotto del petrolio quasi-sottocosta ha numeri notevoli. In tutto, 500 aziende coinvolte e 15 mila lavoratori che da ieri possono tirare un sospiro di sollievo, perché sui loro stipendi non ci sarà più una data di scadenza.

Il valore in euro della produzione delle trivelle entro le 12 miglia, non è di grande rilievo: circa mezzo miliardo di euro all'anno. L'Italia importa l'80 per cento del suo fabbisogno energetico. Gas e petrolio estratti in Italia valgono meno di un decimo dei consumi, circa 11 milioni di tonnellate equivalenti petrolio (Mtep), vale tre miliardi all'anno, ai quali, ha scritto recentemente sul Sole24ore Davide Tabarelli, fondatore e presidente di Nomisma energia, dovremo presto rinunciare. E non per un referendum. Il 2014 è stato il primo anno dal Dopoguerra senza trivellazioni per ricerche di giacimenti. Siamo passati da circa 50 trivellazioni a un anno a zero. Ci sono giacimenti che potrebbero produrre, ad esempio a Novara e a Mantova. La Basilicata vieta nuove esplorazioni e ha limitato la produzione in Val D'Agri. Tempa Rossa è a rischio dopo gli ultimi scandali. Ricerche vietate in Veneto. Risultato, i grandi gruppi non investono più sul futuro dell'energia made in Italy.

Anche in questo caso le dimensioni della rinuncia del «non fare» la danno gli investimenti che sarebbero arrivati se l'Italia fosse stato un Paese più competitivo.

Tabarelli spiega che per riportare la produzione a 20 Mtep all'anno, quindi per raggiungere livelli gà toccati negli anni Novanta, servirebbero investimenti fino a 20 miliardi, a beneficio delle industrie metalmeccaniche. Il tutto grazie all'«ambientalismo integralista». Il referendum di ieri, per quanto sia andato a vuoto, conferma il clima sfavorevole alla produzione di energia che si respira in Italia, fin dai tempi del referendum contro il nucleare del 1987.

Chi, come le compagnie energetiche, lavora investendo miliardi, non può permettersi il clima di incertezza che è invece la cifra della politica italiana.

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