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Salvini, mezzo passo falso: la leadership è una chimera

Il leader della Lega è stato stracciato dagli azzurri nella sua Milano. Il successo di Parisi certifica che l'estremismo non paga. E a Roma si è fermato al 2,7%

Salvini, mezzo passo falso: la leadership è una chimera

Non è solo il Matteo che siede a Palazzo Chigi a dover fare i conti con una tornata elettorale difficile. Se la sconfitta di Renzi è però piuttosto evidente, resta invece più sottotraccia il passo falso di Matteo Salvini. Che porta a casa un risultato deludente nella sua Milano, al punto di restare dietro Mariastella Gelmini in quanto a preferenze e con il Carroccio che nel capoluogo lombardo prende quasi la metà dei voti di Forza Italia (che tiene solo dentro i confini della Lombardia e crolla invece nel resto del Paese). La Lega, guidata proprio dal suo segretario che si presenta come capolista, a Milano non va infatti oltre l'11,7% contro il 20,2 degli azzurri. Per chi caldeggia la rottamazione di Silvio Berlusconi e si propone per la leadership nazionale del centrodestra è chiaro che non può trattarsi di un risultato soddisfacente. Soprattutto se alla lettura dei numeri si somma una valutazione più strettamente politica della tornata amministrativa. Perché a Milano non c'è solo il dato della delusione in termini di voti, ma pure una valutazione sull'ottima prestazione di Stefano Parisi, un candidato che è riuscito ad unire in maniera «inclusiva» tutto il centrodestra, da Fratelli d'Italia al Nuovo Centrodestra passando per il Carroccio. La ricetta, insomma, con la quale Roberto Maroni governa la regione Lombardia, con buona pace degli strali che Salvini riserva ciclicamente a Ncd e al suo leader Angelino Alfano. Il successo di Parisi, dunque, è fino ad un certo punto una vittoria della linea del segretario, perché certifica per molti versi che la Lega cosiddetta «di lotta» fa presa fino ad un certo punto, soprattutto in Lombardia. E la perdita di consensi sul territorio sembrerebbe confermare questa impressione: nella storica roccaforte di Varese, dove nel 1984 Umberto Bossi tenne a battesimo la Lega, il Carroccio non riesce ad andare oltre il 16,24%.

Al di là dei toni da propaganda, insomma, il Carroccio non raccoglie quello che ci si aspettava alla vigilia. Non decolla, inoltre, il progetto di allargare la zona d'ingerenza della Lega oltre i confini della cosiddetta Padania, visto che a Roma la lista Noi con Salvini si ferma al 2,7%. Quello del Carroccio e del suo segretario, insomma, resta un profilo a cui manca una vocazione nazionale, con tutte le conseguenze che questo può avere sulle aspirazioni di leadership di Salvini. È chiaro, infatti, che la circostanza in questione costituisce un grosso freno alle ambizioni dell'altro Matteo.

Sullo sfondo, poi, resta il braccio di ferro che è andato in scena con Silvio Berlusconi. Il leader del Carroccio - che a Milano non ha fatto una piega nonostante Parisi fosse sostenuto da Ncd - è stato abile nel mandare avanti Giorgia Meloni a Roma, così da arrivare sì allo strappo ma senza per così dire «sporcarsi le mani». È finita con la Meloni fuori dal ballottaggio e con l'ex premier che può dunque rivendicare di essere comunque determinante nonostante l'emorragia di voti subita da Fi. Il duo Salvini-Meloni, insomma, non è riuscito nell'operazione di rendere Berlusconi politicamente irrilevante. Detto questo, il buon risultato ottenuto dalla leader di FdI (arrivata al 20,6%) potrebbe cambiare gli equilibri interni all'area della destra per così dire «lepenista». Se fino a ieri la leadership di Salvini non era infatti in discussione visto che i sondaggi davano regolarmente la Lega al 16-18% e FdI al 2-3, da oggi la Meloni può vantare il buon risultato di Roma.

Il che avrà il suo peso, anche alla luce della pessima performance romana di Noi con Salvini.

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