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Salvini non esclude la crisi. Rixi: "Così si voterà a giugno"

Sfogo del viceministro: rotto il rapporto di fiducia. La partita si sposta sul destino di Siri: resta o no?

Salvini non esclude la crisi. Rixi: "Così si voterà a giugno"

I n quasi undici mesi di governo, mai come ieri il livello di scontro tra Lega e M5s ha raggiunto picchi così pericolosamente vicini allo show down. Al punto che in tarda mattinata Matteo Salvini non esitava a far trapelare di essere «pronto alla crisi» se gli alleati avessero continuato a cannoneggiare il sottosegretario ai Trasporti Armando Siri, indagato per corruzione dalla procura di Roma. Una giornata campale, quella di ieri. Perché passata solo un’ora da quando le agenzie hanno battuto la notizia dell’inchiesta, Luigi Di Maio è già davanti ai microfoni a invocare la «questione morale» e chiedere le dimissioni di Siri. «Lo stimo e ho piena fiducia in lui», fa sapere il leader della Lega a stretto giro. A cui fa il controcanto prima un redivivo Alessandro Di Battista che ne chiede anche lui le «dimissioni all’istante» e poi il ministro Danilo Toninelli che annuncia di aver «ritirato le deleghe» al suo sottosegretario. Il timing dell’escalation non è un dettaglio, perché racconta di uno scambio frontale e senza esclusioni di colpi che si consuma nell’arco di sole quattro ore. Sono solo le 12.35, infatti, e già il clima è da guerra civile. Basta osservare i capannelli e i volti di leghisti e grillini in Transatlantico per cogliere un clima di preoccupato allarme. «Siamo al degrado totale», si limita a dire Igor Iezzi, deputato del Carroccio. Invece è decisamente più tranchant Edoardo Rixi, viceministro alle Infrastrutture. «Il rapporto di fiducia con il M5s - dice parlando fitto con due suoi colleghi - è ormai compromesso. Stanno facendo di tutto per farci votare a giugno». Insomma, anche se a taccuini aperti nessuno evoca la crisi - anzi, a Porta a Porta Salvini insiste che «il governo durerà quattro anni» - in privato si ragiona sullo scenario peggiore. Certo, che davvero si possa votare a giugno (domenica 23 o domenica 30) è sì possibile, ma improbabile. In primo luogo perché i tempi sono strettissimi. La crisi, infatti, dovrebbe consumarsi a giorni, perché le elezioni possono essere fissate solo tra i 45 e i 70 giorni dopo lo scioglimento delle Camere. Peraltro dal 1948 ad oggi si è sempre votato tra febbraio e giugno, ma solo due volte (nel 1976 e nel 1983) si è andati oltre la prima quindicina di giugno. Lo storico delle elezioni, però, dice anche che per trovare un’elezione in autunno bisogna tornare indietro fino al Regno d’Italia, al 26 ottobre 1913. Anche votare in autunno, quando si balla sulla legge di Bilancio, è una via stretta. Che l’escalation tra Lega e M5s sia ormai ai limiti del sostenibile è però un fatto. Tanto che, racconta un big di Forza Italia, Giancarlo Giorgetti avrebbe fatto recapitare agli ex alleati azzurri il seguente messaggio: siamo a un passo dall’implosione. Per dirla con le parole di Sestino Giacomoni, uno degli esponenti di Forza Italia più vicini a Silvio Berlusconi, «è una corda sempre più sfilacciata della quale resta ormai solo un sottilissimo filo». Ieri, infatti, gli alleati del governo del cambiamento hanno continuato a darsele di santa ragione su tutti i fronti. Non solo Salvini non ha esitato a chiedere le dimissioni di Virginia Raggi dopo la pubblicazione di un’intercettazione in cui la sindaca intima all’ex ad dell’Ama Lorenzo Bagnacani di «modificare il bilancio» per chiudere i conti in rosso. La guerra si è immediatamente allargata anche alla norma salva-Roma, di cui la Lega ha chiesto lo stralcio dal decreto Crescita. Insomma, l’aria è quella di un redde rationemimminente. Difficile prevedere, però, quando sarà. A sera, intanto, Siri fa sapere di non avere alcuna intenzione di dimettersi. Mentre Di Maio fa filtrare che la richiesta di dimissioni è ancora sul tavolo.

Si vedrà nei prossimi giorni se e chi tra Salvini e Di Maio farà un passo indietro.

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