Politica

Salvini scopre gli insulti dopo essersi preso del Dudù

Nel mirino di Di Battista, chiede toni più soft. Ma è solo un modo per arrivare a Palazzo Chigi

Salvini scopre gli insulti dopo essersi preso del Dudù

Adesso pure lui scopre che la politica è tutta spigoli, tornanti, placcaggi che nemmeno nel rugby. E urla, dopo che Alessandro Di Battista ha deciso di bastonare pure lui: «Basta insulti». Ora che Dibba l'ha generosamente paragonato ad uno scodinzolante Dudù, si risente: «Basta polemiche. Basta ripicche».

Salvini aveva composto un quadretto celestiale con Luigi Di Maio: sorridente come un parroco lui, perfettino nella sua cravatta rassicurante l'altro. I due, già che c'erano, si baciavano pure appassionatamente in un murales ormai famoso. Mancavano giusto le arpe e le cetre. Poi mercoledì, forse presentendo aria di accordone, Di Battista, che aveva promesso di scomparire in qualche foresta equatoriale e invece è sempre fra i piedi, ha cominciato a mitragliare il già mitragliato Cavaliere ad alzo zero. L'ha definito il «male assoluto» e vai a sapere se i «complimenti» erano diretti ad Arcore o volevano colpire, secondo la tecnica collaudata del fuoco amico, proprio Di Maio. Salvini avrebbe potuto dire una parola, intimare l'alt, chiedere almeno un briciolo di galateo, ma ha preferito starsene zitto e buono.

Solo che il suo fioretto quaresimale, a quaresima finita, non è servito a niente. Giovedì Berlusconi, per metà stufo di essere insultato e per l'altra metà desideroso di riprendersi il palcoscenico, ha sciabolato la sua replica: «I cinque stelle non conoscono l'abc della democrazia». E venerdì Di Battista, sempre sul punto di partire e sempre a passeggio per l'Italia, si è scatenato con una furia iconoclasta senza precedenti. Contro Berlusconi, tanto per cambiare, ma anche contro Salvini: al Quirinale «sembrava Dudù, Berlusconi parlava e lui muoveva la bocca». Sprezzante e velenoso, nell'alludere a un possibile ricatto che costringerebbe il capo della Lega a rimanere incollato al Cavaliere. A sua volta dipinto con pennellate di sangue: «Il leader di Forza Italia è il finanziatore acclarato di un'organizzazione che ha fatto saltare in aria Falcone e Borsellino».

Ora, davanti a queste frasi da predicatore medioevale, Salvini è costretto ad uscire dal suo guscio ecumenico e a rispondere, ma lo fa come fosse il professore che bacchetta i due allievi indisciplinati: «Sento troppi insulti, non capisco Di Battista e non capisco Berlusconi che si mettono sullo stesso piano, invece di dare finalmente un governo a questo Paese, per cancellare la Fornero, ridurre le tasse ed espellere i clandestini».

Insomma, Salvini non può più restare in posizione zen, ma cerca, giustamente dal suo punto di vista, di tenere in qualche modo sgombra la strada che porta a Palazzo Chigi. Equilibri ed equilibrismi. «Faccio un appello - insiste Matteo - smettetela con gli insulti a vicenda, le ripicche, i veti, i bisticci, le polemiche. Fino a che continueranno gli insulti del mio alleato Berlusconi e del signor Di Battista non se ne esce». Per la verità i colpi sotto la cintura provenivano da una parte sola, ma Salvini prova la parte dello statista che si tappa le orecchie e corre verso l'obiettivo: «Se ciascuno fa un passo a lato, si costruisce, si lavora».

Peccato che i sabotatori, imbracciato il piccone, stiano facendo gli straordinari.

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