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Salvini snobba il Nord e gli imprenditori: gufi, lasciateci lavorare

La crisi preoccupa la base elettorale della Lega. Il vicepremier: colpa di quelli di prima

Salvini snobba il Nord e gli imprenditori: gufi, lasciateci lavorare

Chissà se Matteo Salvini vede qualcosa di simbolico e preoccupante nella caduta della giunta leghista di Legnano. Se il Carroccio perde la città di Alberto da Giussano, sarà il segnale di un problema al Nord?

La spilletta con il guerriero che sconfisse Federico Barbarossa, i leghisti la portano ancora sulla giacca, anche se è di bossiana memoria e oggi la Lega salviniana ha cancellato dal suo nome il Nord per allargarsi a tutt'Italia, dalla Lombardia alla Basilicata.

Ma la notizia viene oscurata da una ben più pesante, cioè la bocciatura della linea economica del governo, da parte di Confidustria, che si fa Cassandra e sul 2019 «bellissimo» previsto dal premier Giuseppe Conte, lancia l'allarme di un paese fermo, a «crescita zero».

Se così parlano gli industriali, se da tempo si fanno sentire i malumori degli imprenditori settentrionali, che negli anni hanno fatto il successo del Carroccio, Salvini incomincia forse a pensare che la sua bolla vincente può scoppiare da un momento all'altro? Che può tradirlo il suo stesso, storico elettorato?

Fedele al copione, il Capitano non lo dà a vedere, esorcizza i timori, reali e pesanti, del mondo produttivo con le battute in una diretta Facebook. Dà dei «gufi» agli esperti di Confindustria, assicura che «saranno smentiti clamorosamente dai fatti», insiste che «hanno sempre cannato in passato». Agli «amici» catastrofisti, quelli che chiama i «signor disastro», dice con paternalistica sufficienza: «Ragazzi, fateci lavorare. Siamo qua da poco, abbiamo fatto mosse economiche che vedranno i loro effetti nei prossimi mesi». Il vicepremier ricorda che la manovra economica è di dicembre e che i problemi di ora, semmai, pesano su qualcuno che «doveva svegliarsi prima, in passato, quando l'economia cresceva e l'Italia frenava». Insomma, lui è convinto che «con i soldi che rimettiamo in tasca agli italiani si torna non dico a correre ma a crescere».

Davvero Salvini è così sicuro, o si sente tremare sotto i piedi lo zoccolo duro imprenditoriale del Nord-Est, che da tempo storce la bocca di fronte ai provvedimenti gialloverdi? L'insoddisfazione è esplosa da mesi con il «decreto Dignità» di Luigi Di Maio, nella ricca e laboriosa base leghista del Settentrione, a cominciare dal Veneto governato da Zaia e dalla Lombardia di Fontana. Poi c'è la battaglia di bandiera per l'Autonomia, che di rinvio in rinvio il M5s frena. E allora gli industriali rimproverano a Salvini di aver lasciato la politica economica nelle mani del M5s, il Lavoro in quelle inesperte e pericolose di Luigi Di Maio e intanto di distrarre l'attenzione cavalcando l'onda delle navi di migranti e dei porti chiusi, delle rapine in villa e della legittima difesa. Ma all'imprenditore, più che clandestini e delinquenti, fanno paura la sfiducia nel nostro Paese che frena gli investimenti, l'immobilismo che blocca le opere, la burocrazia che fa impantanare ogni iniziativa. All'imprenditore e a tutti i suoi dipendenti. Qualcuno già dice: «Se è così, i voti se li cerchi al Sud».

Mentre Salvini vede crescere il consenso nelle regionali e s'immagina già vicerè di un Nord tutto verde, sommovimenti neppure tanto sotterranei insidiano il suo sogno. Lui li ignora e valuta se forzare la mano agli alleati di centrodestra sul Piemonte. A Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia potrebbe aggiungere la regione dove si gioca la partita della Tav, che Fi vuole guidata da un suo governatore. Gli azzurri non intendono mollare, ma sanno che in cambio dovranno forse cedere importanti capoluoghi, come Firenze e Reggio Emilia.

In questa settimana il nodo si dovrebbe sciogliere, se non in un vertice almeno in una telefonata tra i leader.

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