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Savona resta ma confida: mi sento tradito

L'economista smentisce le voci di dimissioni. Ma ormai è isolato nell'esecutivo

Savona resta ma confida: mi sento tradito

Roma Sfiduciato, sfibrato, deluso: così lo descrivono. Ergo: sull'orlo delle dimissioni, scriveva ieri il Corsera, evidenziando come il ministro Paolo Savona condivida poco o niente di quanto combina il governo e, in particolare, l'uomo da lui «benedetto» per la poltrona che doveva essere sua in via XX settembre: Giovanni Tria.

La smentita inviata dall'ottantaduenne ministro ed economista cagliaritano alla Reuters è stata quanto mai recisa: «Questo è il sogno del Corriere della Sera, che mi ha chiesto di dimettermi dal momento in cui ho giurato». Risoluta, e anche evocativa dell'opposizione con la quale, in certi ambienti, veniva vista la nomina di Savona all'Economia. Contrarietà mai sopite nei confronti di un uomo che vanta un prestigioso curriculum, vasto almeno quanto l'autostima, da leggersi in mille sfumature. Alcune delle quali evidenti a Savona e basta, il ministro degli Affari europei che a giugno chiese e a fine luglio ottenne di parlare a quattr'occhi a Francoforte con il governatore della Bce, Mario Draghi. Incontro chiarificatore, tanto per rinnovare antiche idiosincrasie caratteriali e rancori mai sopiti fin dal termine degli anni Ottanta quando, in una storia di intrecci politici e istituzionali, di gelosie e invidie, i due battagliarono a lungo su tempi e tecniche per entrare nell'euro. Mentre Savona criticava i parametri di Maastricht, Draghi scriveva decreti perché lo Stato potesse usare i derivati e diluire i disavanzi pubblici, tanto per dire. Entrambi «discepoli» di Guido Carli, ma Savona fedele alla sua amicizia con Francesco Cossiga almeno quanto l'altro ha saputo navigare con ogni tipo di governo e in qualsiasi frangente politico.

Oggi perciò lo stato d'animo di Savona pare essere quello - sicuramente infastidito se non nauseato - di un vecchio guerriero dalla memoria tanto lunga da esser considerata pericolosa persino quando si trasforma da «euroscettico» a «responsabile». Responsabile al punto da consigliare (inascoltato) di riscrivere daccapo la manovra, soprattutto per inserirvi elementi consistenti volti alla crescita e non, come voluto dai grillini ed eseguito da Tria, soltanto misure di sostegno.

Savona si sente tradito, forse persino dal capo leghista Salvini, che ieri ne ha smentito le dimissioni in un modo che sembrava confermarle. «Non penso che si dimetterà, è uno degli assi portanti di questo governo, lasciamo stare i retroscena e i gossip, c'è un Paese da governare». Altri boatos dicono sia proprio questa manovra «pre-elettorale alla Renzi» (come l'ha definita un esponente di governo) alla base dell'orgoglioso dissenso di Savona, sempre meno ascoltato. «E io qui che ci sto a fare?» è il lamento di chi vede a gennaio, quando ci saranno le aste Btp più importanti, il momento nel quale si svelerà l'inganno e il Paese scivolerà su un piano inclinato. Forse elettorale, forse peggio.

Per uno che ha disvelato, con Cossiga, «l'economia come un grande imbroglio politico», quasi la nemesi.

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