Politica

Sbarramento ai partitini Ma porte aperte ai magistrati in politica

La legge sulle "toghe in campo" ferma in Senato. Davigo insulta tutti, il pm Di Matteo sposa il M5s

Sbarramento ai partitini Ma porte aperte ai magistrati in politica

Dice che a lui la politica «non interessa», ma spara a zero su centrodestra e centrosinistra che «si sono dati da fare non per contrastare la corruzione ma le indagini sulla corruzione». Con una «fondamentale differenza»: il primo «le ha fatte così grosse e così male che di solito non han funzionato. Il centrosinistra le ha fatte mirate e ci ha messo se non in ginocchio almeno genuflessi». Aggiunge che non farà il ministro della Giustizia di un ipotetico governo grillino, ma lancia le sue bordate dal convegno organizzato a Montecitorio dal M5s. L'ex pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo, giudice di Cassazione già presidente dell'Anm, sferra il suo attacco seduto accanto alle altre due toghe invitate dai cinque stelle: Raffaele Cantone, presidente dell'Anac, e il pm antimafia Nino Di Matteo. Eccolo, l'altro papabile Guardasigilli. Che non scioglie la riserva ma ammette che «l'impegno politico non mi scandalizza», e tanto basta a galvanizzare i grillini.

È il binomio che ritorna, quello su magistrati e politica. «Non si può impedirgli di farla», dice Cantone, ma farebbero bene a non buttarcisi, consiglia Davigo, perché «non sono capaci», «sì, a patto che sia una scelta irreversibile» puntualizza Di Matteo. Di certo un tentativo potranno sempre pur farlo alle prossime, forse vicine, elezioni. Perché per il partito delle toghe che sogna Montecitorio e Palazzo Madama non ci sarà alcuno sbarramento. Il ddl che regolamenta la discesa in campo e il rientro in ruolo dei magistrati rischia di essere ricordato come una delle tante leggi soffocate nel limbo delle urne anticipate. Sicché se su partitini e cespugli piomba la tagliola del 5%, Parlamento, comuni e amministrazioni locali resteranno aperti alla corsa dei giudici sedotti dallo scranno. Eppure doveva essere la volta buona, almeno secondo la narrazione renziana. Dopo anni di stallo e polemiche doveva essere la legislatura che avrebbe messo un freno alle porte girevoli tra le aule di giustizia e quelle parlamentari. Stop con i pm che si candidano sotto i riflettori delle inchieste e con giudici che rientrano in ruolo dopo aver respirato l'aria del Palazzo. Ne va dell'imparzialità e credibilità della categoria, ammoniva lo stesso Csm che già nel 2015 chiedeva una stretta, concetto ribadito anche dall'Anm ora guidata da Eugenio Albamonte. Scongelata dopo due anni di fermo in commissione a Montecitorio, la legge è stata approvata dalla Camera il 30 marzo ed è tornata al Senato, dove era già stata votata tre anni fa. Ma lo scenario di elezioni anticipate minaccia ora di far saltare il calendario e di non dare alla luce la norma nemmeno questa volta.

I nuovi paletti prevedono che il magistrato non possa candidarsi nella circoscrizione elettorale dove ha svolto le funzioni nei 5 anni precedenti e che debba essere in aspettativa da almeno 6 mesi. Poi, a fine mandato, che sia collocato in un distretto diverso, che per 3 anni non possa ricoprire incarichi direttivi. Ma senza la volontà di un'accelerazione parlamentare e con l'ipotesi urne a settembre, rimarranno sulla carta. Non è bastata la raccomandazione del Consiglio d'Europa di limitare «i giudici in politica», né il caso del governatore Michele Emiliano, in aspettativa e sotto procedimento al Csm per aver violato il divieto di iscriversi ai partiti. A Taranto, alle amministrative, c'è già un ex pm (Franco Sebastio, in pensione da un anno e mezzo) che corre per fare il sindaco nel distretto in cui ha coordinato l'inchiesta sull'Ilva. A Parma Gerardo Laguardia, il pm capo dell'inchiesta che fece cadere l'ex sindaco di centrodestra, farà parte della lista Parma Protagonista a sostegno del candidato di centrosinistra. Porte aperte a tutti.

Ancora.

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