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Scalfaro e quel summit segreto "Silvio premier se ci sei tu..."

Gianni Letta si racconta al Meeting e svela: «Nel '94 fu il capo dello Stato a volermi al governo. Altrimenti...»

Scalfaro e quel summit segreto "Silvio premier se ci sei tu..."

In un Meeting che ricerca il dialogo e dice no ai professionisti del conflitto la presenza di Gianni Letta è un incastro perfetto, l'ospite ideale capace di incarnare la figura del civil servant ai massimi livelli istituzionali. Identificato da sempre come un sacerdote dell'armonia, regista poco incline a prendersi il proscenio, Letta - che Silvio Berlusconi definì «un dono di Dio all'Italia» - si concede al popolo del Meeting per la seconda volta dopo il 1986 per raccontarsi in un incontro dal titolo Una vita di lavoro.

Introdotto da Emmanuele Forlani, Letta riprende il tema della felicità e cita a memoria Eugenio Montale: «Felicità raggiunta, si cammina per te sul fil di lama. Agli occhi sei barlume che vacilla, al piede, teso ghiaccio che s'incrina, e dunque non ti tocchi chi più t'ama». Si sofferma sul dolore provato per «l'inaccettabile» tragedia di Genova, così come «inaccettabili sono stati alcuni comportanti istituzionali di quelle ore. In questo dolore avremmo dovuto trovare un momento di ritrovata coesione, un senso di comunità, un ethos popolare, tutti ingredienti che preparano l'avvenire di un popolo. Al contrario è esploso il rancore, cifra caratteristica del nostro tempo come testimoniato dal Censis che ha individuato come parola chiave di quest'anno proprio la parola rancore».

L'ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio individua al contrario nello spirito attento e festoso del Meeting e dei suoi volontari un motivo di speranza per il futuro dell'Italia. Letta riavvolge il nastro della sua vita, racconta la sua infanzia ad Avezzano «dove parole come sacrificio, dedizione, religione non sono ancora prive di senso»; ricorda la sua esperienza come secondo di otto figli, una vera palestra perché «non c'è esperienza più bella e formativa che crescere in una famiglia numerosa dove ci si abitua al lavoro di squadra». Ricorda il padre avvocato, i suoi «grandi genitori», e la sua prospettiva lavorativa. «Dovevo fare l'avvocato, andavo a battere a macchina con la velina e la carta carbone i ricorsi da depositare in Tribunale, ma già in seconda liceo iniziai a fare il corrispondente del Messaggero, prima di passare al Tempo». Letta rievoca anche l'esperienza vissuta nello zuccherificio di Avezzano con il turno di notte dalle 18 alle 6 del mattino. Ripercorre la sua carriera giornalistica, il suo percorso al Tempo fino a diventare direttore amministrativo e direttore editoriale («15 anni, il periodo più bello della mia vita») e il suo rapporto con il fondatore Renato Angiolillo.

Improvvisa, dopo il passaggio a Mediaset, la discesa in campo di Silvio Berlusconi. «Io e Confalonieri eravamo contrari, rimanemmo in azienda. Lui stravinse. Berlusconi mi chiamò e mi disse: Adesso che devo venire a Roma me la dai una mano?. Il primo passo era capire dal presidente Scalfaro - che non amava Berlusconi - se avesse intenzione di dargli l'incarico. Fissai un incontro segreto. Scalfaro gli disse: Le darò l'incarico, ma non pensi di andare a Palazzo Chigi senza questo signore qui. Mi ritrovai incastrato. Ma non ho mai voluto ruoli politici e non sarò mai abbastanza riconoscente per come Berlusconi ha rispettato la mia richiesta di non essere identificato come uomo di una parte. Anche per questo ho sempre lavorato per evitare criteri di partigianeria dentro le istituzioni».

Una scelta fatta tenendo sempre presente una frase di Joseph Ratzinger, scolpita come bussola del suo rapporto con la cosa pubblica: «La finalità più alta della politica è il compromesso, come punto di equilibrio e punto più alto del bene comune».

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