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Lo scandalo irpino che dura da 36 anni

Lo scandalo irpino che dura da 36 anni

In alcune zone devastate dal sisma la gente vive ancora nei prefabbricati, la ricostruzione del patrimonio edilizio non è stata del tutto completata, diverse aziende che dovevano risollevare le sorti di questa ampia fetta di Sud hanno chiuso i battenti; per non parlare delle infrastrutture fantasma e dei soldi spesi (e sprecati) dallo Stato: circa 50mila miliardi di vecchie lire. È il colossale fallimento dell'operazione varata per offrire una speranza a Campania e Basilicata dopo il terremoto del 23 novembre de 1980.

Erano le 19,34, la terra tremò per 90 interminabili secondi, magnitudo di 6,9 gradi della scala Richter e del decimo della Mercalli: i morti furono 2.914, i feriti 9mila mentre oltre 400mila rimasero senza casa. L'epicentro fu in Irpinia, interi paesi furono spazzati via. La provincia più colpita fu quella di Avellino: dei 119 comuni irpini, 99 riportarono danni alle strutture. La storia della ricostruzione è uno dei grandi scandali italiani, accompagnato da polemiche e inchieste, proclami e appelli. Tutto rimbalzato su un muro di gomma che ha impedito un'autentica svolta. Lo Stato mise a punto un piano che prevedeva non soltanto la rinascita dei paesi devastati, ma anche l'insediamento di diverse aziende per far nascere sulle macerie del sisma un solido tessuto produttivo: molte imprese col tempo hanno chiuso, alcune infrastrutture non sono state completate, tanti progetti sono rimasti soltanto sulla carta e messi nel dimenticatoio della burocrazia italiana. Al punto che nella relazione presentata alla Camera un anno e mezzo fa figurano opere che dovrebbero terminare nel 2017. E poi c'è il dramma della popolazione. Per capire è sufficiente farsi un giro al rione Bucaletto di Potenza, un intero quartiere di prefabbricati sorto per dare un tetto agli sfollati: doveva essere una soluzione temporanea, ma le prime vere case sono arrivate solo l'anno scorso.

A 36 anni dal terremoto. BCas

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