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Lo scandaloso baratto tra Alta velocità e autonomia regionale

Salvini incassa il sì grillino al suo cavallo di battaglia. In realtà l'intesa è solo sul rinvio

Lo scandaloso baratto tra Alta velocità e autonomia regionale

Simul stabunt simul cadent, si diceva nella politica d'un tempo, che a riconsiderarla oggi sembra inarrivabile e remota più d'uno spazio siderale. Insieme stanno, insieme cadranno: la novità servita a tavola l'altra notte, alla cena del «come usciamo da questo casino?», non sta affatto nel cambio di passo, nell'«accelerata ai dossier» di cui hanno discusso il premier Conte con i vice Salvini e Di Maio. Il pannicello caldo mediatico copre invece un baratto in previsione di ciò che accadrà di qui alle Europee e dopo. Uno scambio «due per uno», con due scatole vuote in cambio di un'altra, quella cranica di Di Maio, che presto tornerà a esserlo.

Viene aperto uno spiraglio sulla Tav, l'apertura dei bandi d'appalto a marzo, come chiede l'Ue, ma pronti a richiuderli tra sei mesi. Un modo per buttare la palla in avanti, mentre ancora Conte incredibilmente sostiene di «dover studiare per bene i dossier» (ma fino a ora che cosa ha fatto? l'hanno giustamente bersagliato le opposizioni) e Toninelli tiene buono il popolo M5S assicurando: «Niente paura, poi li revochiamo». Il secondo «pacco» sembra essere costituito invece dall'Autonomia in versione depotenziata. D'altronde Di Maio era arrivato alla cena delle beffe sulla scorta di un'intervista rilasciata poche ore prima alla Repubblica, nella quale metteva in chiaro il progetto: «Noi sosteniamo l'Autonomia ma non lo spacca-Italia. All'ottimo ministro Stefani lo abbiamo detto: permetteremo alle Regioni che lo chiedono di poter gestire alcuni servizi. Ma il percorso non sarà breve...». Certo che no: dopo un «vaglio politico» a tre, spiegava Di Maio, ci sarà una «pre-intesa approvata in Cdm». Seguirà una trattativa del premier con le tre regioni apripista: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Infine «si andrà in Parlamento». A occhio è croce, sarà più o meno l'anno 2021 e, qualora il governo gialloverde fosse ancora in vita, bisognerebbe accendere un altro cero a Padre Pio.

Ovviamente, sulla road map di Di Maio, i ministri leghisti imbeccati da Salvini usano guanti di velluto. La stessa «ottima» Stefani acconsente: «L'importante è chiuderla bene e, se serve un giorno in più, meglio prenderselo. Dopo le Europee? Non è argomento da strumentalizzare in chiave elettorale o di scontro Nord-Sud». «Alla fine il dibattito ci sta... Ai 5S va riconosciuta la coerenza», ammetteva pure il governatore veneto Zaia. Parole che aprivano il cuore di Conte all'armonia, dopo l'incontro nel quale il governo allietava i governatori con una specie di «piano Marshall per l'ambiente» (definizione entusiastica di Zaia) da 11 miliardi per rimettere in sesto i territori. «Sull'Autonomia c'è armonia nel governo. Stiamo solo valutando bene come dialogare con il Parlamento. È giusto che l'interlocuzione sia rispettosa nei confronti del Parlamento», era perciò l'amen di Conte, convinto anche lui che «l'importante è farlo bene». Così come il Tav e lo «sblocca-opere», ancora da mettere a punto con il famigerato Toninelli.

L'ancora di salvataggio gettata da Salvini all'«amico Luigi» che annaspa è però l'altra scatola (e forse pur'essa vuota) insita nel contraccambio. Quando si parla della débâcle grillina, il capo leghista ormai è un'educanda: «Flop? Ma sono elezioni locali. Dai, suvvia... Non confondiamo le elezioni locali con quelle politiche». Per non dire del suo resoconto sulla cena di lavoro, nella quale i tre hanno visto i «numeri non positivi che arrivano dall'altra parte del mondo», concordando sul «massimo sostegno alle imprese». Mentre sull'Autonomia, per la quale restano «tre o quattro» problemucci, «risolveremo». Il ribaltamento dei «pesi» di governo è già in atto, quindi.

Salvini fa il «navigator», Di Maio segue i corsi di recupero, Conte si becca il sussidio sul divanetto.

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