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La rappresentante, la commissione e il solito scaricabarile diplomatico

Vincenza Lomonaco e Franco Barnabè negano responsabilità. Cortocircuito imbarazzante

La rappresentante, la commissione e il solito scaricabarile diplomatico

Roma Al telefono, la voce di Vincenza Lomonaco è irritata, di fronte alle domande del Giornale. «Non rilascio dichiarazioni - risponde-, assolutamente non ho nulla da dire. Per ogni spiegazioni rivolgetevi al ministero degli Esteri, che ha tutti gli elementi per spiegare com'è andata».

Il fatto è che la Rappresentante Permanente d'Italia presso l'Unesco rischia di diventare il capro espiatorio per la clamorosa gaffe riguardo al voto della controversa risoluzione su Gerusalemme di martedì scorso. O meglio per la decisione del nostro Paese di astenersi dal voto, così che il documento che cita i luoghi Santi solo con il nome musulmano, negando il loro legame con la tradizione ebraica, fosse approvato con 24 favorevoli, 6 contrari e 26 astenuti tra cui, appunto, l'Italia.

È comprensibile che l'ambasciatrice Lomonaco, nominata all'Unesco nel 2013, sia imbarazzata e forse qualcosa in più, dopo che il premier Matteo Renzi ha dichiarato che si è trattato di un «errore», un voto «allucinante», una mozione «inaccettabile e sbagliata», in seguito alle proteste di Israele e delle comunità ebraiche italiane. Chi ha sbagliato e come è potuto accadere?

Il capo del governo si è giustificato dicendo che si è «andati in automatico», perché questa è la nostra posizione da anni. Ma che va cambiata. Vuol dire che la Lomonaco ha seguito per abitudine, nella seduta plenaria, la via della continuità senza consultarsi con Roma? È possibile quando già il sì alla bozza in commissione aveva provocato proteste da Israele?

Eppure, l'ambasciatrice ha una brillante carriera diplomatica alle spalle iniziata nel 1982, dopo incarichi accademici all'università La Sapienza di Roma, all'Accademia di Diritto internazionale dell'Aia e all'università di Milano e certo con la sua esperienza in relazioni internazionali avrà saputo valutare la delicatezza della questione. Anche perché, tra il primo e il secondo, definitivo voto ha ricevuto diverse espressioni di sdegno, come la lettera di protesta del 16 ottobre dell'Unione Giovani Ebrei d'Italia e di Giovane Kehilà, l'organizzazione dei giovani italiani in Israele.

Si può ipotizzare uno strano cortocircuito tra Roma e Parigi, sede dell'Unesco, o più semplicemente un tipico scaricabarile italiano?

Se Renzi disconosce il non voto dell'Italia all'Unesco, il nostro ministro degli Esteri Paolo Gentiloni non viene ritenuto responsabile dell'errore, come la sua omologa all'Ue Federica Mogherini, la caccia al responsabile è aperta.

Nel mirino finisce anche l'ex presidente di Telecom Italia Franco Bernabè, da aprile scorso diventato presidente della Commissione nazionale italiana proprio per l'Unesco.

Il fatto è che Bernabè ha rapporti consolidati con Israele, attraverso società legate anche ad uno dei fedelissimi di Renzi, Marco Carrai. E questo fatto potrebbe aver creato qualche imbarazzo sulla posizione da assumere sulla mozione. Lo stesso imbarazzo potrebbe aver frenato il governo verso un intervento filoisraeliano, proprio per il ruolo di Carrai.

Il ministro plenipotenziario Enrico Vicenti, segretario generale della Commissione per l'Unesco presieduta da Bernabè, ha subito spiegato che quest'organismo «è un ufficio italiano che collabora con i ministeri competenti per la realizzazione delle finalità dell'Unesco in Italia», e non entra «nelle decisioni dei Paesi Unesco».

Tutti, insomma, se ne tirano fuori e quel non voto sulla risoluzione finale dell'agenzia dell'Onu rimane senza padri e senza patrigni. Una decisione di cui a Roma, dice Renzi, «ci siamo accorti tardi».

E che ora, non si sa come, va corretta.

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