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Schengen, il tesoro dell'Ue Scambi per 3mila miliardi

Bruxelles ha stimato il valore annuo dell'accordo Limitarlo potrebbe costare 230 miliardi in dieci anni

Schengen, il tesoro dell'Ue Scambi per 3mila miliardi

Se c'è una cosa che impressiona a proposito dei costi (in ogni caso enormi) che avrebbe il ritorno a un'Europa pre-Schengen, con dogane, passaporti e burocrazie varie, è la difficoltà di calcolarli. Questo non deve sorprendere, perché gli elementi da considerare sono numerosi e di varia natura: si va dal ritorno dei controlli alle frontiere per persone e merci, con relative perdite di tempo che significano perdite di denaro con danni fortissimi per il trasporto merci su strada e la fine sicura del concetto di «spedizione rapida» all'interno dello spazio europeo, alle ricadute negative sul turismo, danneggiato dall'inevitabile contrazione dei viaggi intraeuropei provocato da scomodità e dilatarsi dei tempi. Per non parlare dei costi dei controlli sui cittadini che vivono in un Paese e lavorano in un altro, con la certezza che il lavoro transfrontaliero ne risentirebbe. Ma soprattutto, sarebbe logico attendersi una crescita dei prezzi dei beni importati, anche questi difficili da calcolare ma presumibilmente compresi tra l'uno e il tre per cento: insomma, a pagare sarebbero i consumatori.

Proviamo a vedere qualche cifra. Si stima che il libero scambio di beni entro lo spazio Schengen valga circa 2800 miliardi di euro l'anno, e che solo le spese per la sua eventuale sorveglianza danneggerebbero l'economia Ue per 5-18 miliardi. Nel prossimo decennio (stime dell'Europarlamento) abolire Schengen costerebbe tra 100 e i 230 miliardi di euro. Due anni fa, quando la pressione combinata della crisi migratoria e del terrorismo islamico indussero otto Paesi dell'area Schengen, tra cui Francia e Germania, a reintrodurre temporaneamente i controlli alle frontiere, la Bertelsmann Stiftung stimò in una forbice molto ampia, compresa tra 470 e 1400 miliardi di euro, le perdite economiche nella Ue per il decennio 2016-2025: la fondazione tedesca calcolò perdite certe (immaginando un aumento dei prezzi dell'1% indotto dal ritorno delle barriere) per la Francia di 80 miliardi, Germania di 77, e per l'Italia di 49. Ma nel caso più pessimistico (prezzi su del 3%), le cifre si sarebbero logicamente triplicate.

Considerato che oggi i tre quarti del trasporto merci in Europa avvengono su strada (circolano circa 60 milioni di camion l'anno), perder tempo in fila alle dogane significherebbe, secondo calcoli della Commissione Europea del 2016, costi aggiuntivi minimi di 1,7 miliardi di euro, e massimi superiori ai 7 miliardi. Tra i Paesi più colpiti ci sarebbero la Germania, l'Olanda e la Polonia, ma l'associazione degli autotrasportatori belgi calcolò 180mila euro persi ogni giorno.

Facile immaginarsi (ma difficile calcolarne il costo o le ricadute sulle nostre comode abitudini) cosa comporterebbe la fine di Schengen per il trasporto di merci deperibili come frutta e verdura, magari con tre o quattro dogane da passare per raggiungere un Paese del nord partendo da uno del caldo Mediterraneo. Ma anche il comparto turistico soffrirebbe enormemente. La Commissione calcola che il rallentamento del traffico dovuto ai controlli di frontiera farebbe perdere 13 milioni di pernottamenti, il che si traduce in 1,2 miliardi di euro andati in fumo (ma se si imponessero anche dei visti i danni potrebbero decuplicarsi).

A perderci di più sarebbero le mete turistiche di seconda fascia, che sono quelle che i grandi tour operator internazionali taglierebbero per prime allo scopo di ottimizzare i tempi: il turista danaroso che viene da lontano continuerebbe ad andare a Parigi e a Venezia, ma a Budapest e a Copenaghen probabilmente ci andrà molto di meno.

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