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Schettino: "Io, detenuto modello, studierò"

L'ex comandante preparerà il ricorso alla Corte europea e scriverà un diario carcerario

Schettino: "Io, detenuto modello, studierò"

Nino Materi

Il primo - ipotetico - step, Schettino (e i suoi legali) lo hanno fissato nel 2022. Tra 5 anni. Quando cioè l'ex comandante della Costa Concordia avrà scontato un terzo dell'intera pena (16 anni) confermata ieri dalla Cassazione. Da ora a quella data sarà infatti impossibile ottenere permessi, sconti, premi o misure alternative al carcere. Schettino, ritenuto il principale responsabile del naufragio del 13 gennaio 2012 all'isola del Giglio dove annegarono 32 passeggeri, è stato condannato per una sfilza di reati: omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, naufragio colposo, abbandono di nave, abbandono di incapaci e omessa comunicazione all'autorità marittima. Abbastanza rapido l'iter giudiziario: l'11 febbraio 2015 il verdetto a 16 anni, il 31 maggio 2016 ancora 16 anni in appello e l'altroieri il definitivo sigillo della Suprema corte. Caso chiuso. E porte di Rebibbia aperte.

A questo punto la strategia carceraria di Schettino è obbligata: comportarsi dietro le sbarre in maniera impeccabile, puntando tutto sulla buona condotta. Francesco Schettino, fin dal suo ingresso «spontaneo» a Rebibbia, si è accreditato come detenuto-modello: «Sono qui perché ho fiducia nella giustizia». Una frase di buonsenso che certifica la strada futura che Schettino sarà costretto a scegliere; la via cioè di una redenzione sociale (oltre che giudiziaria) all'insegna di un «basso profilo» comportamentale che possa emendare l'alone di «antipatia» che - a torto o a ragione - ha fatto di Schettino il simbolo di una condivisa riprovazione nazionale. Che il suo nome sia diventato un insulto, è lo specchio di un Paese sempre ossequioso verso i potenti in auge ma spietato contro gli ex potenti caduti in disgrazia. Oggi, in Italia, perfino un rappresentante della peggior feccia si sente migliore di Schettino, permettendosi di gettargli addosso valanghe di insulti. E questo atteggiamento, al di là delle gravi colpe di Schettino, è un comportamento squallido.

I due esperti avvocati che hanno assistito l'ex comandante di Meta di Sorrento in Cassazione sono andati a trovare il loro cliente a Rebibbia. Lo hanno trovato bene fisicamente e psicologicamente ma, soprattutto, «a posto con la propria coscienza». Ha consumato i pasti nella sua cella singola e letto molto. Dietro le sbarre pare abbia in animo di studiare le carte processuali in vista di un possibile ricorso alla Corte europea. Inoltre avrebbe intenzione di raccontare in un «diario» la sua vita carceraria. Una passione, quella per la scrittura, che ha già portato Schettino a pubblicare un discusso libro dal titolo Le verità sommerse. Il comandante ha scelto di costituirsi a Rebibbia perché ritiene che il carcere romano sia molto più a «misura d'uomo» dei superaffollati penitenziari campani. Non a caso Rebibbia è «famoso» per attività sociali (corsi di teatro, laboratori di cucina, tornei sportivi ecc.) che puntano a ottimizzare il più possibile la qualità di vita della popolazione carceraria.

Per Schettino si tratterà di un percorso lungo e faticoso. Ad aiutarlo ci saranno i suoi affetti più cari (la moglie e la figlia ventenne) e i legali di fiducia, che ormai gli vogliono bene come a un amico.

Legami forti, magari in vista di una seconda nuova vita.

Dopo che la prima è tragicamente naufragata sugli scogli dell'isola del Giglio.

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