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Lo schiaffo di Lula ai giudici: "In carcere? Dopo la partita"

L'ex presidente assicura che si consegnerà alle autorità Ma solo dopo la finale del campionato paulista di calcio

Lo schiaffo di Lula ai giudici: "In carcere? Dopo la partita"

Per il secondo giorno consecutivo l'ex presidente Lula si fa beffe della giustizia brasiliana e, dopo avere promesso di consegnarsi alla polizia federale questa volta non durante le trattative segrete dei suoi avvocati con l'intelligence verde-oro ma sul finire di un comizio «alla Chávez» durato quasi un'ora prima ha fatto sapere di essere andato «a pranzare con i suoi» e, poi, almeno a detta del quotidiano Folha de Sao Paulo, «di voler anche assistere alla finale del campionato paulista, in programma stasera, tra il Palmeiras ed il suo Corinthians».

Insomma, della serie, «anche se mi avete condannato a 12 anni ed un mese di carcere, io me ne infischio perché siete dei corrotti, incapaci ed avendo il popolo dalla mia parte, mi consegnerò sì ma solo quando e come deciderò io». La giornata era iniziata su un palco montato davanti al Sindacato dei Metalmeccanici di Sao Bernardo do Campo, la città dell'hinterland di Sao Paulo dove Lula iniziò la sua carriera politica sul finire degli anni Settanta. L'ultima richiesta alla polizia federale, quando non si era consegnato venerdì come da mandato d'arresto entro le 17 era stata, a notte inoltrata, quella di partecipare ad una funzione in ricordo del compleanno di sua moglie Marisa, morta lo scorso anno. Come non dare in un Paese così emozionale come il Brasile la possibilità ad un ex presidente vedovo sull'orlo del carcere la possibilità di piangere la compagna fedele di una vita? Il problema è che, dopo aver visto celebrare una funzione in cui il nome di Marisa è stato fatto solo a metà predica, un parroco 85enne della Teologia della Liberazione ha prima incitato la folla di massimo 3000 persone alla «resistenza pacifica» perché «Lula non ha colpe».

Poi, come il Messia, è apparso Lula, con la sua solita pancetta e maglietta sudatissima. E dopo avere salutato i tanti suoi compagni di partito e di ideologia dall'ex Senatore Suplicy che a momenti sviene, al leader di Senza Tetto, Senza Terra e partiti della sinistra tutta riunita attorno a lui sul palco - prima ha fatto mezz'ora di rimembranza storica della sua valorosa lotta contro la dittatura, una quarantina di anni fa. Poi, appena distanziatosi dagli anni 1979 e 1980, ha dismesso i panni del vecchio saggio per indossare quelli dell'astuto aizzatore di folle e di odi. Niente a vedere insomma con il Lula «pace e amore», slogan che gli aveva fatto conquistare la presidenza nel 2002. Ed allora ecco che a commettere il crimine non è stato lui - condannato a 12 anni per corruzione e riciclaggio per avere ricevuto un triplex, ovvero un appartamento extra-lusso vista mare, tangente nello schema di corruzione Petrobras ma ad «essere criminali sono il pm che mi ha accusato, il giudice che mi ha condannato e la giustizia che non mi ha difeso».

E poi, rivolto alle ali più violente dei suoi seguaci «bruciate da oggi in poi pneumatici a volontà, bloccate il paese, si pentiranno di quanto mi hanno fatto, dell'ingiustizia contro un innocente ma ne uscirò anche da questa, più forte di prima». Frasi incendiarie degne del miglior Chávez, con un invito se non alla guerra civile a qualcosa di molto simile. Poi la promessa, «adesso mi consegno» a cui però ha fatto seguito da un lato un lauto ed interminabile pranzo con i suoi più stretti compagni di lotta, molti dei quali inquisiti nell'ambito della Mani Pulite verde-oro ma salvi solo grazie all'immunità parlamentare (il cosiddetto foro privilegiato). Poi la sorpresa del «mi consegno domenica sera, prima voglio vedere il mio Corinthians».

Follia pura.

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