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Schifani richiama a raccolta il patrimonio di Forza Italia

L'ex presidente del Senato: "Così il capo dello Stato sarebbe sotto scacco perenne. Era meglio la riforma di Berlusconi del 2006"

Il capogruppo al Senato Renato Schifani parla con Silvio Berlusconi
Il capogruppo al Senato Renato Schifani parla con Silvio Berlusconi

Roma - Presidente Renato Schifani, è già al lavoro per il No?

«Sono concentrato sul convegno del prossimo 19 ottobre intitolato Le ragioni del No. Un convegno aperto ma dove sarà significativa la presenza di ex parlamentari di Fi e di area che, essendo tornati alla società civile dalla quale provenivano, possono dare un contributo. Alcuni hanno già costituito dei Comitati del No. Parteciperanno insigni giuristi tra i quali il presidente emerito della Corte costituzionale, Antonio Baldassarre».

Renzi sostiene che se non passa la riforma si darà l'immagine di un'Italia immobile. Vero?

«Meglio cambiare l'Italia bene che cercare di ingannare gli italiani con una cattiva riforma che non risolverà i problemi del Paese, peraltro aggravatisi con il suo governo. Una riforma che ho votato per disciplina di partito al cui dibattito non ho mai partecipato e alla cui dichiarazione di voto finale, sebbene capogruppo, ho delegato altri».

Nessun attacco speculativo all'orizzonte se vince il No?

«È la minaccia che utilizza Renzi; ma è falsa e inefficace. Inefficace perché si pensi al 2006: la riforma Berlusconi, ben più organica e seria di questa perché introduceva la sfiducia costruttiva, riduceva il numero dei parlamentari, interveniva sui poteri del premier, venne bocciata. Non accadde nulla come non accadrà nulla se domani vincesse il No».

E falsa perché?

«Perché spiegheremo in conferenza stampa presso la stampa estera le nostre ragioni: dimostreremo che questa riforma paralizzerà il Parlamento».

Addirittura? Ma non verrà eliminato il bicameralismo paritario?

«Non è così. Il Senato, al di là delle materie su cui è espressamente previsto che legiferi, può proporre che un disegno di legge sia preso in esame dalla Camera».

Un rischio ingolfamento?

«Certo. Per non parlare dei probabili contenziosi sulle competenze. La legge dice che verranno risolti dai presidenti di Camera e Senato. Ma se hanno pareri diversi? Che succede? Il testo non lo dice».

Ma il Senato legifererà meno.

«Non credo proprio. Al Senato sono devolute funzioni relative al recepimento delle direttive europee, che oggi toccano temi sensibili come immigrazione e risparmi: durante il governo Renzi su 148 decreti legislativi ben 96 sono recepimenti di normative Ue. Il governo dovrà trattare con un Senato senza poteri di fiducia. Ergo, si rischierà pure la paralisi con la Ue. Per non parlare della paralisi delle Regioni».

Pure? Perché?

«Il futuro Senato sarà composto da 74 consiglieri regionali che faranno parte sia di palazzo Madama sia dei rispettivi consigli. Ma siccome non potranno svolgere analoga funzione lo stesso giorno perché altererebbero il quorum, potranno essere chiamati in Senato solo quando le assemblee regionali non si riuniranno. Un vero rebus».

Si salva solo il capo dello Stato.

«Neppure. Se vince il Sì passerà con l'Italicum in vigore che Renzi non cambierà. Questa legge consente al partito che vince una maggioranza di 340 deputati. Ebbene, oggi l'articolo 90 prevede la messa in stato d'accusa del presidente della Repubblica con la maggioranza assoluta dei Parlamentari, pari a 476. Domani il quorum si abbasserebbe a 366. Per il premier, che avrebbe già 340 deputati certi, non sarebbe difficile aggiungere altri 26 senatori. Insomma: il capo dello Stato sarebbe sotto scacco perenne».

Conti: il governo giura che la riforma fa risparmiare.

«Renzi parla di un risparmio di 500 milioni di euro l'anno. Cifra demagogica. Saranno circa 50 milioni perché non si tiene conto delle diarie e delle indennità dei nuovi senatori».

Ultimo vulnus della riforma?

«Il fatto che limita la democrazia diretta. Renzi ha triplicato il numero delle firme necessarie per presentare un disegno di legge che passa dalle 50 mila alle 150 mila».

Se Renzi dovesse perdere?

«Conoscendo il soggetto direi che non sarà disposto a un Renzi bis per evitare il cupio dissolvi.

Sconfitto, penso che salirà al Quirinale per dare le dimissioni».

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