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Lo scippo ideologico del riposo domenicale

C'è qualcosa di più prezioso del lavoro: ed è il suo senso. Ed esso si coglie e si gode la domenica

Lo scippo ideologico del riposo domenicale

Da qualche millennio i Papi, tutti i Papi, insistono: guai a chi tocca la domenica, non è di diritto umano, ma divino. È una vecchia storia, anzi preistoria. Le incisioni rupestri in Valcamonica, roba nostra, lombarda, attesta che i progenitori lavoravano e ritualmente si inchinavano a Qualcuno che aveva dato loro il tempo, e gli offrivano la parte migliore. La Cgil è venuta abbastanza più tardi, devo dire. E ha scombinato questa legge divina con l'ideologia. Perciò chiunque anche dotato di scarso buon senso, persino il sottoscritto, sta con Vittorio Feltri il quale magistralmente infilza i sindacati per il caso Electrolux, quando volevano impedire agli operai di lavorare a Ferragosto: non si può perdere il treno del lavoro quando passa, e ne passano pochi.

La questione qui però non è l'emergenza di Ferragosto, cioè l'eccezione, ma la normalità delle domeniche, in cui si concentra qualcosa di diverso. Si tratta della concezione della vita. Della domanda posta formalmente da Tolstoj in un celebre racconto, ma che più o meno espressa gira dentro ciascuno: di che cosa vivono gli uomini? Di cibo e di aria. Certo. Di divertimento. Naturale. Ma forse anche di qualcosa di più. Ovvio: primum vivere, deinde philosophari , e oggi non c'è da pettinare le bambole. Eppure nel seicento, vedi «I promessi sposi», la domenica e «le feste comandate» la gente lasciava giù il forcone, si sedeva in famiglia a dividere lo scarso companatico, ne faceva un fagottello da far arrivare discretamente a chi era più povero; e non è che allora ci fosse meno penuria di oggi.

C'è qualcosa di più prezioso del lavoro: ed è il suo senso. Ed esso si coglie e si gode la domenica. Per questo il vescovo Todisco ha le sue ragioni per chiedere a Marchionne di modulare per quanto possibile i turni di lavoro in fabbrica tralasciando il dì di festa. Per questo prima Benedetto XVI e oggi Francesco insistono sul riposo festivo. Non c'entra niente con il fanigottismo di quanti, appena usciti dalla cassa integrazione, pretendono subito le ferie. Il riposo non è l'ozio, ha insistito Bergoglio. Ma un tempo più forte. Un tempo vibrato, come scrisse un filosofo francese. Dove si guarda con calma, con tenerezza il volto delle persone della nostra vita, e il frutto del nostro lavoro, che non è per forza quello in fabbrica e ufficio, ma quello della educazione impartita ai figli, della compagnia offerta ai malati, ai vecchi. Non è un tempo convenzionale. Accade. Come l'alba.

Per questo, quando negli anni Settanta, nel tempo inclemente della crisi petrolifera, i sindacati e gli industriali sembravano essersi messi d'accordo sul fatto che non dovesse più esserci la domenica - il settimo giorno - per non sprecare l'energia elettrica, mi parve una rivoluzione sacrilega. Si pensò allora di far marciare le fabbriche a ciclo continuo, il riposo sarebbe stato un giorno casuale, fissato dalla direzione del personale con i sindacati, come in Urss.

La domenica accade, non è un accordo tra governo, imprese e sindacati. Ogni sua ora ha una essenza particolare. «Essenza» è da estendersi nel suo significato di profumo. Così come si dice l'essenza dei fiori. Ciascuno di noi lo sa. Io me ne resi conto una strana mattina di ottobre a Strasburgo, 1988. Si scusi se passo ai ricordi personali, ma serve all'argomento. Accompagnavo da cronista il Papa in uno dei suoi viaggi. Era pressappoco l'alba e stavo lavorando. E camminavo in fretta tra le strade tranquille della domenica mattina. Ed ecco, vidi un bambino di 9 anni uscire dal portoncino di casa, mezzo assonnato, baciato da sua mamma. Era un chierichetto che andava alla Messa. Ma non aveva la faccia dei giorni feriali, era domenica: aveva nello sguardo il presentimento di grandi cose, come se avesse aspettato questo appuntamento con la festa per tutta la sua vita. Sarebbe andato in chiesa, poi al ritorno avrebbe trovato sua madre e suo padre, senza fretta. In realtà, vedevo in quel bambino me stesso. Senza domenica, con i suoi ricordi di cibi straordinari, e il sapere che il proprio padre non si era alzato troppo presto, ma riposava, e ti avrebbe fatto un po' di compagnia. Ecco, la domenica quando uno è bambino capisce che capita, accade, è un avvenimento che non è controllato da noi. È come la pioggia: bagna buoni e cattivi, sta a ciascuno di saperne godere, con semplicità, senza farsi dominare dalla solita ansia feriale, di quando si corre non si sa bene dove e non si sa bene perché, ma si corre, forse per distrarsi, forse per non sentire troppo dolore.

È un lusso che possiamo ancora permetterci? Tanto vale rovesciare allora la vita nei tombini.

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