Politica

Se fosse così facile anche i soloni dell'Ordine avrebbero successo

I fascisti rossi hanno preso talmente piede che ormai ragionano con le estremità inferiori, riuscendo a invertire il senso di marcia sul terreno del progresso e della liberalizzazione: invece di andare avanti, magari lentamente e con fatica, vanno indietro a forte velocità. Di fatto hanno rifondato il Minculpop in versione naïf, trasformando l'Ordine dei giornalisti in una specie di organo addetto alla censura, se non in una sorta di tribunale speciale le cui sentenze arbitrarie (nella sostanza) sono inappellabili.

Lo strumento in base al quale la corporazione decide se un addetto all'informazione sia degno o indegno di esercitare la professione - meglio, mestiere - non è il codice penale, bensì la deontologia. Quale deontologia? Quella che garba a (...)

(...) lorsignori e che coincide con la morale dei medesimi. Poiché l'etica non è un blocco di marmo, e ciascuno ha la propria, gli accusati di averla violata subiscono processi per non essersi adattati alle idee dei giudici improvvisati, non togati, ovvero dilettanti del diritto imposto dalla casta.

È evidente che siffatto Ordine contrasta con l'adorata Costituzione che contempla la piena libertà di parola e di pensiero, e non fa alcun accenno alla deontologia «inventata» dai rappresentanti di categoria. In questi giorni divampa una polemica grottesca: Barbara D'Urso, conduttrice di programmi televisivi di indubbio successo, è stata addirittura denunciata per esercizio abusivo della professione giornalistica, in quanto davanti alle telecamere non si accontenta di intrattenere gli ospiti con quattro chiacchiere da salotto: rivolge loro delle domande, dando vita ad autentiche interviste, vietate - secondo i miei colleghi - a chi non sia iscritto all'Albo degli scribi.

Assurdo. Estremizzando il concetto, un cittadino privo della tessera, che il club di cui faccio parte rilascia dopo un esame burla, non può in televisione o alla radio (tacendo della carta stampata) interrogare nessuno. Passi che saluti l'interlocutore e lo riempia di complimenti; gli è consentito perfino di trattarlo a pesci in faccia, ma non si azzardi a chiedergli se preferisca trascorrere le vacanze in montagna o al mare, se stimi Giorgio Napolitano e se consideri Matteo Renzi un bravo statista o pensi che questi sia il solito politico inconcludente. Da ciò si evince: oggi, stanti le norme restrittive invocate dall'Ordine, Mike Bongiorno (se fosse ancora vivo) e Pippo Baudo (se fosse iperattivo) e tutti coloro che hanno presentato il Festival della canzone a Sanremo non avrebbero facoltà di sollecitare i loro interlocutori a esprimere un parere sulle coppie di fatto, sul matrimonio gay, sul papato di Francesco, sul gioco della Juventus eccetera.

Anche un alunno negligente della scuola materna sa che non esiste una demarcazione tra conversazione e intervista e che, pertanto, è artificioso voler fissare un confine ai compiti di chi guida una trasmissione televisiva. Ogni tentativo in questa direzione è una forzatura intollerabile: dimostra, per giunta, che la corporazione pur di autoconservarsi è pronta ad arrampicarsi sugli specchi e non esita a rendersi ridicola. Il problema non consiste nell'eliminare Barbara D'Urso e i suoi numerosi epigoni, semmai nel cancellare un obbrobrio quale l'Ordine dei giornalisti, lavoratori dipendenti, alcuni di lusso e ben remunerati, quasi tutti gli altri sottopagati, comunque non autonomi, di conseguenza neppure bisognosi di un ente di riferimento che li sorvegli, essendo più che sufficienti i codici penale e civile a disciplinare il settore, trascurando l'editore, ossia colui che dà gli stipendi.

Il presidente nazionale de noantri cronisti, Enzo Iacopino, nonostante sia una persona perbene, si è investito della parte del severo censore spingendosi oltre la denuncia. Si è messo a fustigare i costumi della tv, bacchettando anche lo stile dei conduttori attribuendo loro la responsabilità della decadenza in atto nel ramo. L'informazione, in pratica, sarebbe in crisi qualitativa a causa della sciatteria e delle carenze culturali dei personaggi, sprovvisti di patente giornalistica, ai quali è affidata la realizzazione di programmi destinati a finire in video. Non è così. Infatti, gli spettacoli aborriti dai soloni dell'Albo, come quello di Barbara D'Urso, vanno benone e registrano grandi ascolti, mentre i talk show curati da redattori tesserati sono in costante calo di audience, diciamo pure in caduta verso lo zero. E sorvoliamo su quotidiani e periodici firmati da autori legalmente riconosciuti: annaspano, perdono copie in misura preoccupante.Siamo al paradosso: chi è sul punto di affogare, anziché recitare il mea culpa, addebita il proprio fallimento a coloro che navigano col vento in poppa. Iacopino e i suoi sodali sostengono, in sintesi, che i conduttori (giornalisti abusivi) mirano al successo facile, e lo ottengono, cavalcando la volgarità.

Non valutano, i nostri illustri colleghi, che, se il successo fosse così facile, ce l'avrebbero anche loro.

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