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Se il Lingotto diventa il "gioco dell'oca" del Pd

Il grande corso motivazionale del Pd al suo terzo e ultimo giorno, si è trasformato, in un enorme gioco dell’oca, con i "pericoli" che rappresentano le difficoltà (fisiche e morali) del suo motivatore e dove vincitore è determinato esclusivamente dalla sorte

Se il Lingotto diventa il "gioco dell'oca" del Pd

Il grande corso motivazionale del Pd al suo terzo e ultimo giorno, si è trasformato, in un enorme gioco dell’oca, con i "pericoli" che rappresentano le difficoltà (fisiche e morali) del suo motivatore e dove vincitore è determinato esclusivamente dalla sorte. Fuori un esiguo manipolo di contestatori chiedono più diritti per i lavoratori. Anche se per Del Rio “il jobs act è il più grande atto di protezione sociale mai fatto in questo paese”. Dentro a parlare si alternano la Kyenge, Bonaccini, Richetti, Serracchiani, Fassino e Orfini e l’ex ministro Berlinguer. Poi passa in rassegna mezzo governo, dalla Madia a Minniti, dalla Fedeli a Del Rio. Il premier Gentiloni è arrivato verso mezzogiorno, ma si limita a un tweet. Si aggirava tra le sedie anche un fan di Renzi, l’attore Sebastiano Somma. Parole dure contro i fuoriusciti, traditori, ex. “Io non sono un ex, non mi sento un ex”, grida Luigi Berlinguer (85 anni). Per Minniti “la sinistra per molto tempo ha mangiato i suoi figli, dobbiamo liberarci da questa sindrome”. E la Serracchiani “non si fa dare lezioni da chi ha ucciso l’Ulivo e ora tenta di uccidere la sinistra italiana”. Fuori per sempre Speranza, Emiliano e Rossi (“Speranza avrebbe fatto bene a venire qui dai suoi vecchi amici, quando ha avuto bisogno di voti qui li ha sempre trovati”, polemizza il sindaco di Firenze, Dario Nardella). Per Guerini “è un errore parlare di alleanze adesso, rischiamo di fare un discorso molto politicistico, non sappiamo qual è la legge elettorale. Concentriamoci sulle nostre proposte”. Anche se per molti la strizzatina di occhio di Pisapia è molto appetitosa e addirittura Franceschini tende la mano anche alla destra. Serracchiani su tutte le furie: “La sinistra vuole cambiare il mondo, la destra vuole lasciare tutto così com’è”. Per Bonaccini “andarsene è un errore, un errore sempre. Soprattutto di fronte a una società dove non si sa cosa potrebbe accadere e c’è il rischio di consegnare a una destra regressiva e populista o al populismo a 5 stelle il governo del paese. Guardiamo meno alla nostra punta delle scarpe. Gli avversari si chiamano Grillo e Salvini. Se qualcuno vuole prendersi la responsabilità di indicare nel Pd l’avversario da sinistra si assumerà una grande responsabilità”. Di Consip non vuole parlare nessuno, “teniamolo fuori da questa discussione”. Ci prova Andrea Romano secondo il quale “sono cose personali e comunque Lotti non si dovrebbe dimettere”. Dell’intervento di Marianna Madia resta solo la voce stridula e fastidiosa che rimbomba nell’hangar. Però tutti guardano a lei, essendosi ripassata (politicamente) tutti nel Pd, da Veltroni a Letta, via Bersani, Franceschini e D’Alema, racimolando in cambio una carriera sfavillante, basta vedere da che parte sta lei per sapere chi vincerà. “Il Pd deve fare una sola cosa, essere credibile”, la massima della ministra. Ma qui al Lingotto, per il popolo del Pd, l’unico vero leader è ancora Matteo Renzi. Lo conferma anche Eugenio Giani, presidente del Consiglio Regionale della Toscana, prossimo candidato a governatore della Regione, che lo conosce bene da anni quando era in Comune con lui, e ancora lo stima anche se quel posto a Roma promesso da Matteo nel suo governo, non è mai arrivato. E anche se è in atto la derenzizzazione del Pd e anche nello stesso Renzi, non esiste nulla meglio di lui. Per ora.

E questo preoccupa (molto) anche il partito.

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