Politica

Se l'istituzione (e l'indifferenza) sono nemiche di chi soffre

Massimo M. Veronese

A volte basta niente, una delle cose, banali, che capitano tutti i giorni e tutti i giorni che ti restano diventano gironi. Gironi dell'inferno. Giulia Roccanova, ostetrica all'ospedale di Correggio, nel 1992 ha 31 anni e un bambino di tre. Una stupida caduta dalle scale le frattura il coccige, un medico specialista, dopo mesi di dolori, la indirizza verso un intervento di ernia discale, la operano a Parma. Ma è peggio di prima. I dolori restano e la gamba non la sente più. Dice alla Gazzetta di Reggio Emilia: «Nella cartella clinica si leggeva come esito dell'intervento: peggiorata». Una risonanza spiega perché: un ematoma fibroso ha inglobato le vertebre. La ragione: un'emorragia interna intervenuta nel post operatorio «e di cui però nessuno si è accorto». Non servirà a molto né un intervento chirurgico a Verona, nè una periscopia per lisi della cicatrice a Pietra Ligure, nè un'operazione, difficilissima e costosissima, a Lione («ho dovuto viaggiare da sdraiata e pagare tutto di tasca mia», né un'altra dieci anni dopo a Bari sempre opera del luminare di Lione. Viene dichiarata invalida al 75%. «Non c'è giorno che io non abbia avuto dolore. Non ho potuto seguire mio figlio come avrei voluto, ho dovuto lavorare part time. E per fortuna ho avuto accanto la mia famiglia, mia madre e l'avvocato. Senza non ce l'avrei fatta».

Doloroso uguale è il percorso giudiziario: quando Giulia chiede il risarcimento agli ospedali di Parma. La prima risposta è no. Poi al posto delle Usl, cancellate dalla riforma del servizio sanitario, subentra la Regione Emilia Romagna. «La sentenza di primo grado arriva nel 2003 e ci dà ragione: riconosce un danno permanente rilevante, dovuto alla negligenza nel post operatorio». L'appello dice il contrario, la Cassazione annulla, il processo è da rifare. La perizia medica certifica l'evidenza: il danno c'è stato. La Regione si arrende e paga. Quasi 20 anni dopo l'inizio della causa.

Una battaglia combattuta contro un ente pubblico, cioè contro noi tutti, uno dei tanti casi, dolorosi più di altri, dove la mancanza di rispetto, l'ottusità burocratica, l'umiliazione del debole, passa da chi ti dovrebbe rappresentare, la sensazione di totale disinteresse per le conseguenze delle proprie azioni che avvelena più di ogni altra cosa la vita di questo Paese.

In quest'Italia dove tutti si rinfacciano torti una certezza c'è: per avere ragione ci vogliono vent'anni.

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