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Se a Natale la libreria diventa uno zoo di best-seller

Gatti, gabbianelle, topi, lumache, oche, mucche. Ecco l'arca di Noè per passare indenni il Natale

Se a Natale la libreria diventa uno zoo di best-seller

Da bimbo, confondevo le strenne con le renne. Ma ero scusato, conoscendo poco o per nulla sia le prime sia le seconde. Le prime perché allora muovevo i primi passi nell'universo della lettura, le seconde perché nell'Italia anni '60 il rito natalizio rimaneva ancorato alla tradizione del presepe con bue, asinello e pecore, e dell'albero, pieno di palline colorate ma privo di corredo faunistico. Così, quando a casa sentivo parlare di «strenne» nel senso di libri freschi di stampa da regalare, credevo si intendesse «renne» (e io pensavo: «Una renna? Dove la metto una renna, se qualcuno me la regala?»). Cioè proprio quegli strani animali dei quali a scuola parlava la maestra illustrandoci usi e costumi di altri bambini mooolto lontani da noi, talmente lontani da abitare più o meno dove abita Babbo Natale prima di iniziare, ogni dicembre, il suo giro intorno al mondo.

Poi sono cresciuto, ho capito la differenza fra strenne e renne e, in un modo o nell'altro, ho continuato a ignorare sia le une sia le altre. Di renne, mai vista una in carne e ossa. Quanto alle strenne, mai ricevuto in regalo o a mia volta regalato un libro che fosse passato sotto i torchi nel periodo in esame. Eppure amo profondamente sia i libri sia gli animali, solo che non mi è mai andata giù l'idea di donare libri, né tantomeno animali, a Natale. Libri e animali li amo 365 giorni l'anno, mentre i regali di Natale, diciamocelo, durano nei nostri cuori tre, quattro, massimo dieci giorni.

Ma ora, come la mettiamo con le strenne che parlano di renne? Pardon , di animali in generale? Perché anche oggi si rischia di confondere strenne con renne, come di prendere lucciole per lanterne. Eppure, forse è giunta l'ora di rivedere il mio ormai datato proposito. Non tanto perché questo giornale è il più animalista in circolazione, come tutti i lettori sanno, quanto perché la fattoria degli editori in questo scorcio di 2014, l'anno dell'orsa Daniza e del cavallo Bronwen, per intenderci, ha prodotto qualcosa di gustoso da mettere accanto al presepe o sotto l'albero oppure da alloggiare sulla slitta di Babbo Natale, trainata appunto dalle renne portatrici di strenne.

Guanda ci propone un piccolo zoo, riunendo in un solo volume due gatti, una gabbianella, un topo e una lumaca. Tutti usciti dalla penna di Luis Sepúlveda. Sotto il titolo complessivo Trilogia dell'amicizia (pagg. 332, euro 18,90), ecco Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare , poi Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico e infine Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza . Sono le tre favole ormai classiche dello scrittore cileno, un buon motivo per imparare a leggere (e, prima che a leggere, ad ascoltare, operazione ben più difficile) per i pargoli di oggi, i quali magari hanno ancora la testolina rivolta alle zucche d'importazione di Halloween...

A proposito della gabbianella e dei suoi voli da apprendista, c'è un altro uccello pronto a dispiegare le ali. In Il volo felice della cicogna Nilou (Rizzoli, pagg. 190, euro 14), Guido Conti racconta il ritorno alle origini africane di una cicogna. È un'avventura dolceamara, un romanzo di formazione dai toni leggeri ma che non nasconde l'esistenza del Male, spesso acquattato nei dintorni del Bene, ovviamente per colpa degli umani.

Più immaginifico di Conti è Paolo Di Paolo. Trentunenne, dopo una serie di libri per grandi di notevole successo, torna piccino in quello che considera «il mio vero primo libro». È il primo perché risale a una grande fascinazione che colse lo scolaro Paolo ai tempi delle elementari: La mucca volante (Bompiani, pagg. 90, euro 11) è quasi un giallo infantile ma molto «adulto», e sul banco degli imputati finiscono le leggi strampalate degli over 10.

Adulti e saggi sono anche I racconti di Mamma Oca (Piemme, pagg. 152, euro 14), vale a dire le super classiche fiabe del maestro Charles Perrault (1628 - 1703), da «La bella addormentata nel bosco» a «Pollicino», da «Cappuccetto rosso» a «Cenerentola». Mamma Oca ne è la narratrice, e dietro le sue piume si nasconde un grande autore: « Mère l'Oye c'est moi », avrebbe potuto dire, se non fosse nato quasi un secolo prima del suo collega Flaubert...

E più che adulto, addirittura un sottile psicologo e un filosofo disincantato, è il micio nel quale un altro maestro arrivato sui nostri scaffali partendo dall'altro mondo, il giapponese Natsume Soseki (1867-1916), si identificò. Questo gatto senza nome né nomignolo è il vero padrone di casa del romanzo. Descrive la goffaggine del suo padrone e dei suoi ospiti e i cambiamenti radicali di un Paese che all'inizio del Novecento si stava rapidamente occidentalizzando. Io sono un gatto (Beat, pagg. 480, euro 14) dice Soseki. E noi possiamo seguire il suo esempio, aggirandoci sornioni nella fattoria delle strenne per acciuffare qualche buon libro.

Persino a Natale.

 

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