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Se oggi parte il missile di Kim Trump parte per la guerra

Washington aspetta un nuovo test nucleare nord coreano per scatenare i caccia. Mosca e Pechino provano a mediare

Se oggi parte il missile di Kim Trump parte per la guerra

Dispiegamento in grande stile per le forze militari americane a ridosso della penisola coreana, quando è ormai scoccata l'ora x, ovvero quella di un possibile test nucleare di Pyongyang in occasione del 105esimo compleanno del padre fondatore Kim Il-sung, nonno dell'attuale leader Kim Jong-un. Gli Stati Uniti - secondo quanto dichiarato a Nbc da fonti dell'intelligence - sono pronti a un raid preventivo con armi convenzionali contro la Corea del Nord se e quando saranno convinti che il regime si stia preparando al sesto test nucleare. Da parte sua Pyongyang ha avvertito che un «grande evento» è vicino, e il gruppo di analisti «38 North» ha affermato come «le attività delle ultime sei settimane nel sito nucleare di Punggye-ri facciano pensare ai preparativi finali per un test», che potrebbe avvenire proprio durante il fine settimana. Il Pentagono per ora non commenta le indiscrezioni di Nbc, ma gli Usa hanno posizionato due cacciatorpedinieri in grado di lanciare missili Tomahawk a meno di 500 chilometri dal sito dove sono stati effettuati i precedenti cinque test nucleari. Mentre bombardieri pesanti B-52 e B-2 Spirith (stealth, invisibili ai radar) sono dislocati nella base aerea di Guam, pronti ad attaccare la Nord Corea, se necessario. E la Uss Carl Vinson, portaerei classe Nimitz a propulsione nucleare di 97mila tonnellate, che trasporta 60 velivoli e imbarca 5mila tra uomini e donne, si sta avvicinando alla penisola.

Il presidente Donald Trump, costantemente aggiornato sugli sviluppi dai suoi più stretti collaboratori a Mar-a-Lago, in Florida, ha avvertito: «La Nord Corea è un problema... ce ne occuperemo». E il vice presidente Mike Pence domani sarà a Seul nell'ambito di un viaggio di dieci giorni in Asia, per mostrare l'impegno americano verso l'alleato sudcoreano. Il monito di Pyongyang, invece, arriva dal vice ministro degli Esteri Han Song-ryol, il quale ha accusato il tycoon di aver creato un «circolo vizioso» di tensioni nella penisola, avvertendo che il suo Paese «andrà in guerra se» gli Stati Uniti «lo sceglieranno». Quindi ha puntato il dito contro le «manovre militari spericolate» degli Usa e i possibili «attacchi preventivi», e assicurato che la Corea del Nord «ha un potente deterrente nucleare». «Trump provoca in continuazione con le sue frasi aggressive», ha chiosato Han, precisando che la politica di Trump è «più violenta e aggressiva» di quella del suo predecessore, Barack Obama. Mentre un portavoce del Comando generale di Pyongyang ha fatto sapere tramite l'agenzia ufficiale Kcna che le forze armate nordcoreane sono pronte a prendere «le più dure» contromisure contro l'America se continuerà con le provocazioni. «Le nostre controazioni più dure contro gli Usa e i loro vassalli saranno prese senza alcuna pietà - ha tuonato - tali da non permettere all'aggressore di sopravvivere». Mosca e Pechino hanno espresso forti timori per la situazione nell'aerea: «È con grande preoccupazione che stiamo seguendo l'escalation delle tensioni - ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov - invitiamo tutti i Paesi a dar prova di moderazione». Mentre il ministro degli esteri cinese Wang Yi ha «invitato tutte le parti a smettere di minacciarsi a vicenda, a non permettere che la situazione diventi irreparabile». Poi la Cina ha sospeso i voli per Pyongyang da lunedì.

Sul fronte afghano, invece, la «superbomba» sganciata dagli Usa per colpire tunnel e grotte utilizzate dai miliziani Isis ha causato la morte di 82 militanti del Califfato, secondo il portavoce del governo provinciale, Ataullah Khogyani. L'arma potentissima, definita in gergo la «madre di tutte le bombe», dall'acronimo Moab, è stata lanciata in una rete di tunnel nel distretto di Achin della provincia di Nangarhar, e «ha completamente distrutto» l'obiettivo.

Lo Stato Islamico, invece, tramite la sua agenzia Amaq, ha negato che il raid abbia fatto alcuna vittima tra i militanti jihadisti a Nangahar.

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