Politica

Se il premier ha un complice sul Colle

Come Pier Capponi oggi suoniamo la nostra campana sotto le finestre del Quirinale per scuotere con il dovuto rispetto Sergio Mattarella. Sospettiamo che sia rimasto finora intontito dal piffero di Renzi con tutti i suoi mandolini, e sia affetto da una virtù indebita per un capo dello Stato: la gratitudine. Non è prevista in Costituzione. Noi contiamo ancora che, in un soprassalto di orgoglio patrio, fermi quello che (...)

(...) Ferruccio de Bortoli, nel suo testamento spirituale sul Corriere della Sera , chiama il Caudillo . Non pare sia una figura prevista dalla nostra Magna Carta. Per cui provveda. Sloggi dalla sua mente questo sentimento improprio, tolga il ritratto di Renzi dal suo appartamento di capo dello Stato. Usiamo un linguaggio forte, non per mancanza di rispetto, ma per cercare di comunicare ancora al Colle l'allarme gravissimo che ci pare finora spegnersi lassù nella coltre esagerata della prudenza renitente. Qualcuno ricorda cosa si disse quando Renzi estrasse dal cilindro il nome di Mattarella? Uno gentile ma duro, uno che parla poco, non si piega, lo dice pure il nome che suppone tempra lignea e coriacea, poco incline alla flessibilità di convenienza. Altro che creatura scelta da Renzi per il suo comodo. Lo si ripete ancora tra i campioni del senno di poi. Dicono: Berlusconi doveva metterci il suo cappello sopra, far buon viso a cattivo gioco, e intestarselo. Oggi l'Italicum sarebbe passato senza tragedie greche, e i giornali parlerebbero di lui come di un padre della Patria. Si sarebbero prodotti piattini come negli anni '60 con Giovanni XXIII (Mattarella) che tiene a bada Kennedy e Krusciov (Renzi e Berlusconi) si tengono la mano e camminano in un campo rigoglioso di messi ubertose. Questi ragionamenti sono stati ripetuti circa mille volte. Lo scopo? Rendere ridicolo il ribaltamento del voto di Forza Italia sull'Italicum, favorevole al Senato contrario oggi alla Camera. Questo concetto lo ripete in questi giorni Napolitano. Ehi, presidente emerito, non si sottovaluti. È stata proprio la constatazione del peso da ciclope del capo dello Stato nelle vicende italiane a determinare il perché prima del sì e poi del no. Non un oscuro scambio o un ghiribizzo, ma puro amore alla democrazia, insieme a una ingenuità sesquipedale.

Forza Italia ha accettato in gennaio di votare l'Italicum, benché disegnato su misura per il dominio di Renzi, in cambio non di un nome, ma nella certezza che quel sì sarebbe coinciso con una mutazione radicale di sistema. La pacificazione basata sulla certezza di una lealtà reciproca. Tale per cui chi avesse vinto con l'Italicum non avrebbe occupato tutto. La scelta condivisa, con pari dignità nel far valere le proprie ragioni, del capo dello Stato era la prova del nove che nessuno avrebbe mai fatto valere con prepotenza la logica dell'invasione totalitaria di qualsiasi ambito decisionale della Repubblica trasformando la democrazia in dittatura. Invece Renzi ha detto sì, e poi no. Questa è stata l'incoerenza vera. Essa ha chiarito la bulimia di potere del giovane fiorentino, la sua morale coincidente con la sua convenienza. Ora Mattarella è la prova provata che - come del resto durante i suoi anni di vita ministeriale e parlamentare - è di legno resistentissimo quando si tratta di darla in testa agli avversari della sinistra, pura gommapiuma, quasi un guanciale per far dormire sonni deliziosi al Caudillo . Ma suoniamo lo stesso le campane. Magari Mattarella si ricorda che quell'Italicum fa concorrenza al suo nome: è un manganello, non è bene sia dato in testa agli italiani.

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