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Se si straccia il patto a pagare saremo noi

Se si straccia il patto a pagare saremo noi

La concessione ad Autostrade si può revocare, ma i governanti-per-caso dovrebbero chiarire al popolo-bue a che prezzo e chi pagherà. Premesso che una tragedia come quella del ponte debba avere delle conseguenze altrettanto forti, a carico dei responsabili, cerchiamo di capire chi pagherebbe se la conseguenza fosse la revoca. Non i Benetton, che hanno portato a casa profitti dopo le tasse a due cifre, non i top manager che avrebbero lesinato su controlli e manutenzione, non i burocrati del ministero e di altri enti, che avrebbero sorvolato sui controlli. I condizionali sono d'obbligo in uno Stato di diritto, dove le responsabilità le sentenziano i tribunali, non i demagoghi a cui presunti giornalisti danno voce. Così, il cerino resta a noi cittadini.

Innanzitutto, la revoca di un contratto di concessione porta con sé un risarcimento a carico dello Stato, pare 23 miliardi, oltre un punto e mezzo di PIL. Poiché lo Stato come si sa non ha soldi, ma gestisce solo quelli dei contribuenti, ecco che il conto arriva direttamente a noi. Non che ciò sia d'ostacolo per i governanti-per-caso e per il popolo bue, visto che entrambi sembrano credere alla favola che i soldi crescano dentro le rotative della zecca e che i debiti non vadano rimborsati. Del resto, è stata il viceministro all'economia, quella del questo-lo-dice-lei, a scrivere che la soluzione sarebbe il «debito perpetuo, titoli emessi senza scadenza e a tasso zero».

Dopo noi contribuenti, tocca ancora a noi l'altro conticino della revoca: il funzionamento dell'infrastruttura autostradale. La rete è il sistema nervoso dell'economia, per le merci e per le persone, e se funziona poco e male ci perdiamo tutti. Dunque la domanda è: dopo che la concessione sarà stata revocata a Autostrade, a chi verrà affidata? Chi ha le competenze e l'esperienza per gestire un'arteria strategica per la vita stessa della nazione? Si parla di Anas, che potrebbe gestire le strutture, intese come viadotti, strade e ponti, ma che già su quelle di sua competenza non gestisce il servizio che scorre sull'asfalto. Aperture, chiusure, caselli, pedaggi, informazioni sono altra cosa. Semplificando, Anas interviene sulle strade quando non ci passa nessuno, mentre Autostrade ci gestisce il traffico. Ma non finisce mica qui. Senza la concessione, Autostrade sarebbe svuotata dell'attività e sorgerebbe il problema dei 6/7mila dipendenti. Meglio allora un piano B, di ispirazione popolar-comunista: entrare con capitali pubblici in Autostrade, riducendo la quota di Atlantia/Benetton sotto il 50%. Autostrade conserverebbe la concessione per gestire la rete, mentre Benetton e soci porterebbero a casa un bel gruzzolo e avrebbero come socio lo Stato, che tornerebbe a fare ciò che sa fare bene: gestire le imprese e in particolare i trasporti, Alitalia docet. Ma, se il ministero non è stato in grado di controllare l'operato di un concessionario privato, quali garanzie avremmo che controllerebbe quello pubblico, visto che entrambi rispondono alla medesima politica?

In un Paese liberale, la magistratura dovrebbe punire, con sentenze severe, veloci e certe, tutti i responsabili della tragedia, chi doveva fare e chi doveva controllare; il governo dovrebbe lasciare l'esercizio della rete al migliore operatore su piazza, nell'interesse socioeconomico di un traffico fluido e sicuro, ma controllando che la manutenzione venga fatta nei modi e nei tempi. La politica deve portare soluzioni, non dare sfogo alla rabbia.

Per quello ci sono i gladiatori nel circo.

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