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Se lo Stato vuole entrare anche in cucina

Se lo Stato vuole entrare anche in cucina

Bene ha fatto il Garante della Concorrenza, Giuseppe Pitruzzella, a esprimere un giudizio negativo sul disegno di legge in tema di ristorazione domestica, a causa del suo impianto punitivo verso chi vuole mettere un piede in questo settore dell'economia condivisa. In particolare, l'Antitrust è molto critico sul tetto al numero annuo di coperti e di proventi (500 ospiti per un massimo di 5 mila euro di incassi). Già approvato alla Camera, il testo è ora all'esame del Senato, ma si spera che dopo questa presa di posizione esso venga modificato in senso più liberale.

In una società che sta cambiando anche grazie alle nuove tecnologie e, nel caso specifico, grazie a siti che permettono di andare a cena da cuochi non professionisti, non ha senso predisporre leggi così penalizzanti, che prevedono coperture assicurative, impongono di pagare solo con modalità informatica, vietano questa attività in abitazioni già utilizzate quali bed & breakfast oppure affittate con Airbnb, e via dicendo. La volontà di spegnere sul nascere tale forma di economia integrativa pare figlia di un'operazione lobbystica, generata dalla ristorazione professionale, ma è anche il frutto di una cultura che non mostra il minimo rispetto per la libera iniziativa. Quanti hanno redatto una simile legge pensano che lo Stato abbia il diritto e perfino il dovere di dirci cosa dobbiamo fare. In fondo, la sharing economy di Airbnb, di Uber e adesso anche di questa ristorazione «a casa» nasce dall'intuizione che ci sono capitali e competenze, finora non interamente sfruttati, che possono generare servizi apprezzati e di qualità, producendo risorse aggiuntive. La famiglia che affitta una camera allo straniero di passaggio e quella che prepara una cena per una coppia di fidanzati mostra un'intraprendenza che il legislatore non dovrebbe punire.

Oltre a ciò, è triste dover fare i conti con una cultura nemica della proprietà e ignara del nesso tra nesso tra proprietà e libertà. Quanti per loro libera scelta vanno a cena da chi hanno incontrato grazie a un portale specializzato non devono essere ostacolati, né soprattutto va loro impedito di sfruttare al meglio ciò che hanno e ciò che sanno fare.

Questa vicenda, comunque, sembra derivare non solo dalle resistenze dei ristoratori e dal proverbiale barocchismo del legislatore italico. Le regole del testo, e forse questo è il punto principale, manifestano il sacro terrore di veder sfuggire risorse da tassare. La legge è stupidamente restrittiva perché il governo teme che una parte dell'economia oggi umiliata dalle imposte possa spostarsi in tale zona franca. A quanti ci governano sembra stare a cuore soprattutto lo Stato, e molto meno essi si preoccupano della gente comune, che se aggiunge un posto a tavola lo fa solo per sperimentare qualcosa di nuovo e guadagnare un po' di soldi in più: mettendosi al servizio del prossimo.

Un comportamento che non dovrebbe essere penalizzato.

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