Cronache

Sea Watch, ultimatum della Corte di Strasburgo. Ma il Viminale non molla

Il tribunale dei diritti umani: una soluzione subito. Il vicepremier: non è problema nostro

Sea Watch, ultimatum della Corte di Strasburgo. Ma il Viminale non molla

La Sea Watch 3, in mare da 13 giorni e ora di fronte a Lampedusa, chiede l'intervento della Corte europea dei diritti umani e punta a «misure provvisorie» così che i 42 migranti rimasti a bordo possano sbarcare. La risposta è arrivata ieri sera, dopo le richieste di informazioni alle autorità italiane e alla Ong riguardo al numero di persone che si trovano sulla nave, le loro condizioni e il loro possibile stato di vulnerabilità.

La portavoce della Organizzazione non governativa con sede in Germania - ma la nave batte bandiera olandese - Giorgia Linardi ha chiarito: «Rispetto alla notizia del ricorso urgente alla Corte dei diritti umani, che non è stata diffusa da Sea Watch, commentiamo dicendo che effettivamente è stato fatto un ricorso non dall'organizzazione, ma dai singoli individui presenti a bordo che hanno adìto la Corte europea per tutelare i propri diritti».

Il ricorso «è stato fatto in riferimento all'articolo 3 che descrive quello a bordo come un trattamento inumano e degradante» e in esso «si chiede quindi alla Corte di indicare all'Italia delle misure che possano in qualche modo ridurre la sofferenza a cui le persone a bordo sono costrette in questo momento nell'interesse della tutela della loro dignità».

Il tutto mentre c'è chi si rende disponibile a ospitare i migranti. È stato infatti l'arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, a chiarire: «Come ha sempre fatto, anche in altre circostanze analoghe, la chiesa di Torino è disponibile ad accogliere senza oneri per lo Stato questi fratelli e sorelle al più presto, se questo può servire a risolvere il problema».

Il Pd, con una nota della segreteria a firma di Andrea Martella, parla di silenzio dell'Europa e chiede che «l'Italia faccia la propria parte». Il Pd, proprio ieri, ha prima pubblicato un post con cui chiedeva che l'Europa si responsabilizzasse sulla vicenda, quindi lo ha corretto auspicando un intervento del nostro Paese. Una strategia ben precisa, insomma, che ha quale scopo quello di veder sbarcare i migranti da Sea Watch 3. A fargli eco anche la pentastellata sindaca di Torino, Chiara Appendino, che riprende le parole di Nosiglia e dice che l'appello, «molto significativo, è un modo anche per scuotere le coscienze di tutti».

Ma i cosiddetti buonisti dell'accoglienza non hanno fatto i conti con il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, che prosegue dritto sulla sua strada, ricordando all'Europa che le responsabilità sono altrui.

«L'Unione europea - ha spiegato il vicepremier - vuole risolvere il problema Sea Watch? Facile. Nave olandese, Ong tedesca: metà immigrati ad Amsterdam, l'altra metà a Berlino. E sequestro della nave pirata. Punto». Ad appoggiarlo la leader di Fdi, Giorgia Meloni: «Paradossale che la Corte di Strasburgo chieda all'Italia risposte sullo sbarco della Sea Watch. È l'Olanda, la cui bandiera sventola sulla nave Ong, a doverci dire se riconosce l'imbarcazione come olandese e a farsene carico. In caso contrario trattasi di nave pirata: si trasbordano i passeggeri, l'equipaggio si arresta e la nave si affonda».

Il tutto mentre c'è ancora chi si chiede come sia possibile che una nave che interviene in acque libiche, a cui viene impedito di sbarcare in Italia e che anziché dirigersi verso la Tunisia, dove un porto sicuro si poteva trovare, punti verso Lampedusa e tenti il tutto per tutto pur di approdare e quindi far sbarcare gli immigrati.

Anche in considerazione del fatto che è ormai cosa nota che i trafficanti di esseri umani fanno prendere il largo ai barconi quando di fronte alle coste del Nord Africa sono presenti navi ong.

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