Politica

Seconde case e bugie di Stato

di Giuseppe Marino

C'era una volta la villeggiatura. Ogni tanto un vento di amarcord ci riporta echi di quel tempo di lavoro e vacanze a ritmo ben più costante delle ferie mordi e fuggi di oggi. In queste ricorrenti recherche del tempo perduto, raramente si ricorda che una larga parte di quella borghesia nascente negli anni del boom ha avuto la possibilità di acquistare a prezzi allora abbordabili, senza pagare le tasse mostruose di oggi e accedendo al credito in modo relativamente facile, grazie alle vecchie cambiali, un nutrito patrimonio di seconde case in campagna, al mare o in montagna. Spesso in località dal richiamo turistico modesto, come il litorale romano o l'Appennino meno rinomato. Nel 2011, quando il governo Monti si è insediato con la missione di spremere il più possibile i contribuenti, quell'esercito di baite e villini è diventata la carne viva su cui incidere, imponendo una patrimoniale pesantissima. I governi seguenti, guidati dal centrosinistra, hanno alleggerito il fardello sulla prima casa, ma lasciando che l'intero peso della patrimoniale cadesse sulle seconde case. Per giustificare questo scempio, la narrazione del piccolo mondo antico della villeggiatura è stata sepolta, sostituita con la menzogna di una giusta richiesta di sacrifici a ricchi proprietari immobiliari che potevano addirittura permettersi una seconda casa. La dimensione di questo prelievo è stata chiarita nei giorni scorsi da Confedelizia e dalla Cgia di Mestre: il gettito delle tasse sulle seconde case si è gonfiato da 1 miliardo del 2011 agli 11 miliardi di oggi. A conti fatti, fa un rincaro del 1100 per cento. Dietro i numeri di un attacco alla proprietà senza precedenti, coperto da una bugia di Stato, c'è la realtà di un ceto medio colpevolizzato per aver investito i suoi risparmi sul mattone e su un vecchio rito, la villeggiatura, ormai passato di moda. Non potendo attaccare le pensioni e altri redditi più protetti, si è deciso che toccava a loro sostenere una parte spropositata dello sforzo di risanamento. Gli effetti sulla vita delle persone sono stati devastanti. Il fenomeno raccontato in questa pagina, la demolizione per evitare di pagare le tasse, è solo la punta dell'iceberg di un impoverimento costante di questo ceto medio. I cosiddetti «possidenti immobiliari» sono spesso ex professionisti di provincia, funzionari dei ministeri, quadri aziendali (figli di un'epoca in cui il tessuto industriale non era spompato come oggi), non certo miliardari. Ma le tasse sulla seconda casa, Imu e simili, non hanno fatto differenze: chi aveva un appartamentino a portata di ombrellone o un rustico in campagna è stato trattato alla pari di chi aveva un impero immobiliare. I Comuni in cui sorgono le seconde case hanno fatto il resto, alzando al massimo tutte le aliquote, consapevoli che i proprietari non votano in loco, in barba al principio «no taxation without representation». In molti di questi paesi, oltretutto, il patrimonio si è irrimediabilmente svalutato ed è difficile anche svendere quegli immobili, visto che non tutti hanno voglia di pagare migliaia di euro di Imu. Per non parlare di chi ha solo ereditato una casa di famiglia e ora ne è ostaggio. Una clamorosa ingiustizia che pare invisibile a un'agenda politica accecata dal pauperismo e sempre preda della vocazione alla spesa pubblica.

E al declino.

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