Cronache

Il segreto dei Moai

Il segreto dei Moai

Il sacro e la realtà visibile erano intrecciati l'uno all'altro in un flusso continuo. Eternità e sopravvivenza, divino e corpo umano, preghiera e sete. Sull'isola di Pasqua si viveva in un modo non differente dai popoli della terra dove la religione era compenetrata con la natura. Le grandi statue antropomorfe, uomini di pietra, i celebri moai di cui una delle isole più sperdute del Pacifico è ricca, potevano avere proprio questa funzione: non semplici ornamenti, omaggi agli Dei avi innalzati casualmente sul terreno, ma sentinelle collocate in luoghi precisi con uno scopo. E questo scopo era la presenza di acqua. Il legame tra vita e morte non era solo simbolico.

I moai potrebbero essere stati insomma dei segna-fonte, e le loro dimensioni e le loro caratteristiche un indicatore del tipo di risorsa che custodivano nei proprio paraggi, forse anche della distanza. L'ipotesi di un carattere funzionale - custodi di una ricchezza del suolo, rabdomanti sacri dei guardiani di pietra è stata avanzata da alcuni ricercatori americani, che hanno svolto un lungo sopralluogo sull'isola di Pasqua. I moai erano pienamente «integrati nella vita delle comunità», spiega Carl Lipo, della Binghamton University di New York, uno dei coautori dello studio, pubblicato sulla rivista scientifica Plos One.

Lontana tremilaseicento chilometri dalla costa del Cile, immersa in un'eterna primavera dal momento che la temperatura non si discosta quasi mai dalla media dei 21 gradi, l'enigmatica Rapa Nui come è chiamata nella lingua indigena, ospita quasi novecento moai di roccia vulcanica e circa trecento ahu, piattaforme su cui sono spesso poggiati. I più antichi risalgono al XIII secolo e le loro dimensioni variano dai cinque ai dieci metri per i più imponenti.

I ricercatori hanno concentrato il loro lavoro nella parte est dell'isola, analizzando la sede di 93 ahu, basamenti. Hanno iniziato a vedere se erano state poste vicino a aree fertili, o a risorse naturali. E proprio l'acqua sotterranea è stato il filo invisibile, la chiave. La mappa delle piattaforme di pietra sembrava essere una mappa delle risorse idriche.

L'isola non ha corsi d'acqua permanenti, ma è stato verificato che attraverso falde sotterranee emerge da sorgenti, ancora presenti, o utilizzate nell'antichità attraverso pozzi. La vicinanza a queste fonti d'acqua sembra essere la spiegazione della posizione degli ahu. Una coincidenza talmente evidente, racconta ancora Lipo, da risultare «ridicola» per la sua semplicità.

Quello che ora si vuole cercare di capire è se le dimensioni e le caratteristiche di ciascuna statua siano legate alla qualità o all'abbondanza dell'acqua. Sembra essere confermato che i megaliti appartenevano a comunità differenti. Il moai simbolo d'acqua avrebbe indicato la potenza di ciascuna tribù in relazione alla risorsa trovata, e dunque conquistata. Le ricerche fin qui svolte hanno attestato una grande competizione tra i gruppi dell'isola, soprattutto quando il legname iniziò a scarseggiare forse a causa del trasporto della pietra, o dei roditori. Il culto dell'uomo uccello parte proprio da una gara, l'eroe che sfida il mare per consegnare un uovo intatto al Gran Sacerdote.

Lo studio incontra anche scetticismo. In molti casi vicino agli ahu esistono affioramenti, ma di piccole dimensioni, difficile che in passato abbiano avuto un'importanza tale, sostiene un'esperta di Rapa Nui dell'Università della California, Jo Anne Val Tilburg.

Ma l'acqua è indubbiamente un legame tra la terra e i suoi inferi, tra vita e morte, visibile e invisibile.

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