Politica

Semplice e borghese La perfezione di Prada

Erotica e conservatrice tra gonne, canotte, bianco, beige e anche Tie-dye

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Milano Le sfilate di Prada, Fendi e Max Mara si svolgono mentre tra le fila della stampa italiana passa di mano in mano la vergognosa inchiesta che il New York Times dedica al lato oscuro del nostro sistema produttivo. I colleghi americani sostengono che i meravigliosi cappotti di Max Mara vengono cuciti per un compenso in nero di un euro al metro in una misera cucina di Santeramo in Colle, paesino in provincia di Bari. Dicono anche che Fendi, storico marchio romano controllato dal Gruppo LVMH, si avvale di unità produttive clandestine in Salento e che in Italia non esiste un minimo salariale. «La Puglia non è il Bangladesh» tuona indignato Carlo Capasa, presidente di Camera Moda e nativo di Lecce promettendo di chiedere per vie legali perché il NYT non abbia denunciato questi illeciti alle autorità competenti. I portavoce dei due brand presi di mira (ce ne è un terzo, Tod's) rifiutano di parlare mentre Miuccia Prada, autrice della più bella delle sue ultime dieci collezioni donna, dichiara: «Tutte le aziende hanno codici da rispettare e poi magari c'è l'ispettore che si fa corrompere e chissà quali danni potrebbe causare per esempio nell'industria automobilistica. Non vorrei se la prendessero con la moda che è rimasta l'unico mondo con un po' di coraggio». La grande signora del made in Italy ammette poi di fingere di non far politica con il suo lavoro e questo significa che l'estrema semplificazione dei capi presentati non ha ucciso il contenuto stilistico che nasconde l'infinita complessità di un pensiero forte. Lo scamiciato che di solito è una divisa da signorine di buona famiglia diventa la rampa di lancio per un tipo di erotismo legato al cervello ma per forza di cose mutuato dal corpo. Le gonne sono dritte a matita con semplici bluse tagliate a canotta oppure camicie con seducenti sprazzi di nudo. In alternativa, ci sono sublimi vestitini tagliati ad A e cappotti da perdere la testa con la doppia fila di bottoni dorati che definiscono la linea del modello. Sotto s'intravedono curiosi collant logati tagliati sotto al ginocchio che fanno la parte del leone con gli chemisier in velo trasparente come le camicie lanciate da Yves Saint Laurent nel 1966 con il nude look. Non per niente nella colonna sonora si riconosce il brano-scandalo Je t'aime Moi non plus. Ma tra cerchietti imbottiti, belle borse borghesi appese al braccio e semplicissime sneakers con suola dritta, si fa strada una nuova teoria: il classico puro e duro può fare davvero una rivoluzione ma non lo puoi produrre in un tugurio, ci vogliono aziende dove un'ora di lavoro costa agli imprenditori cifre da capogiro. È così l'unità produttiva di Reggio Emilia da cui sono usciti i trench con ruche sulle braccia effetto cresta di drago e abiti monospalla pennellati addosso. Il direttore creativo Ian Griffith parla di una moda per donne guerriere perché il quotidiano oggi è molto duro. Lo pensano anche da Fendi e infatti sulla classica borsa Peekaboo della maison compare una fodera gommosa detta Defender. L'intera collezione è attraversata da un'idea di protezione con fodere di PVC trasparente che diventano giacche piene di tasche in pelle e pelliccia per quel potente concetto dell'abbigliamento da lavoro detto utility. L'abbigliamento da idraulico diventa lussuoso e spettacolare con giochi di materiali, intarsi, loghi tridimensionali e chi più ne ha più ne metta. Peccato i calzoncini da biker che in molti casi sostituiscono le gonne. Saranno una tendenza di stagione, ma stanno male pure alle modelle. Anche Erika Cavallini pensa a un modo di vestire «attrezzato», con grandi tasche da appendere alla cintura al posto delle borse e abiti o giacche privi di costruzione e comunque pieni di aplomb. Da Moschino l'idea del non finito serpeggia nei tailleur con il colore applicato in parte anche nel set della sfilata un atelier in cui le modelle circolano con il rotolo di stoffa addosso al posto del vestito.

«I ritmi della moda sono troppo veloci: non si riesce a finire tutto» dice il designer Jeremy Scott, onesto nel giustificare le sue scelte.

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