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Un Senato di fantasmi dà l'ok al governo zombie

Doveva sparire, è risorto e dà la fiducia: 169 sì per Gentiloni, come l'ex rottamatore nel 2014

Un Senato di fantasmi dà l'ok al governo zombie

Abitano qui i fantasmi? A Palazzo Madama? Macché. Più che anime in pena, più che indigeni sopravvissuti allo tsunami, i senatori che man mano nella giornata ricompaiono sui tappeti rossi hanno l'aria di chi ha licenziato un servizio meteo stupidamente allarmista; il piglio di tacchini che hanno appreso l'abrogazione del Natale. Complice il sole che irradia forza vitale, anche i busti marmorei sembrano sorridere. Lo fa Giuseppe Garibaldi dal ritratto alla parete, e persino Paolo Gentiloni davanti alla sala Pannini. Qui viene a cercar maggior gloria, questo il suo buen retiro. Passata la tempesta, gli augelli fan festa.

Accade al Senato. Una specie di miracolo nel quali non c'entrano santi né fanti, né Madonne. Solo la legge della Nemesi, scienza esatta. Una Resurrezione: quel che pochi mesi fa era la palude infida del governo Renzi, aspira a diventare il fortilizio del fragile governo fotocopia. Gli «straccioni di Valmy», evocati da Paolo Naccarato in ricordo dell'esercito messo in campo dal gran presidente Cossiga a guardia di D'Alema, «saranno gli stabilizzatori di Gentiloni». Nonostante i troppi sopravvissuti (stavolta al governo), i numeri per ora sono pari a quelli dell'illustre predecessore (che qui in Senato si fatica a nominare, pare porti jella, si usano perifrasi e ammicamenti del tipo: quello là, il de' Pazzi, il maledetto). Allo scrutinio 169 sono: uguali identici a quelli del febbraio 2014. Solo che allora il premier giovinotto era entrato non proprio con le prudenze della cristalleria. «Vorrei essere l'ultimo a chiedere la fiducia in quest'aula - aveva detto Renzi -. Non ho neppure l'età per sedere nel Senato: non vorrei iniziare con una citazione colta e straordinaria della bravissima Gigliola Cinquetti. Ma è così». Non bastasse la condanna a morte, lo sfregio della citazione, l'arroganza veniva sottolineata dalle mani tenute a lungo in tasca, a mo' di sfida bischera. Come passa il tempo, direbbe Totò. Pareva ieri.

Macché. Ieri mattina un signore educato, con voce pacata, a volte soporifera, ha parlato di «responsabilità». Invece di citare Luigi Tenco come alla Camera, ha ricordato Carlo Azeglio Ciampi: «Per il tempo necessario per questa delicata transizione, servirò con umiltà gli interessi del Paese» (applausi scroscianti, senatori in piedi). E, quasi con grinta, ha precisato i termini di un rinnovato rapporto con l'istituzione. «Ho condiviso la riforma, ma il popolo ha deciso con un referendum dal risultato molto netto. Quindi potrei dire che la fiducia che chiedo al Senato è un po' particolare: chiedo la vostra fiducia ed esprimo la mia fiducia nei confronti del Senato e delle sue prerogative». Applausi e vasti cenni di approvazione. La differenza è diventata stridente, temibile come un'assicurazione sulla vita, vanificando l'ambiguo «suk» di cui i verdiniani si sarebbero fatti volentieri scudo. Ai voti previsti si sono così aggiunti due di Sel (Stefàno e Uras), tre di Gal (Naccarato, Villari e D'Onghia), quello dell'ex grillina Fuksas. Entusiasmo che portava Laura Bianconi, presidente del gruppo Ncd, a tradire il pensiero autentico del capo, Angelino Alfano, ufficialmente schierato con Renzi per elezioni domani. «Questo non è un governo a termine, date di scadenza non ce ne sono. Oggi nasce davvero il governo Gentiloni!», gioiva l'ingenua. Proprio mentre risalivano alla mente le parole pronunciate da Gentiloni poco prima, chissà poi perché. «C'è una straordinaria evoluzione della modernità... Ma bisogna tener conto dei perdenti...

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