Politica

Il Senato ignora il pericolo: Alfano parla a un'Aula vuota

Il ministro riferisce sulle misure per prevenire attacchi ma ad ascoltarlo ci sono solo una ventina di senatori

Il Senato ignora il pericolo: Alfano parla a un'Aula vuota

Il mondo intero vive giorni di angoscia e si mobilita, ma il terrorismo non buca le pareti di Montecitorio e le abitudini dei senatori. È un giovedì pomeriggio di torrida estate e la jihad può attendere. Per carità, a parlare, nel corso del question time, è il ministro dell'Interno che affronta l'argomento numero uno dell'agenda di qualunque governo: il pericolo islamista. Dopo Dacca e i nove italiani morti, dopo Monaco e Nizza e Rouen, con il prete sgozzato sull'altare, dovrebbe esserci il pienone. La ressa: per capire, per chiedere, per contestare, per condividere. Invece sono in venti, a spanne, ad ascoltare Alfano che da i numeri degli arresti e delle espulsioni e che prova a disegnare un Islam italiano, rassicurante e ben inserito nel recinto della convivenza civile.

Pare impossibile, ma questo è il film: sembra uno scambio di chiacchiere sotto l'ombrellone. Da ambientare a Viareggio, ad Alassio o a Taormina. Oppure fra le montagne di Cortina. Un gruppo di amici che disquisisce dei massimi sistemi. Invece siamo al Senato, peccato solo che manchino i senatori. La tentazione ha la meglio sulla paura.

Alfano offre una montagna di dati: interessanti, anche se da depurare, da disaggregare perché la realtà delle cifre presa in blocco dà un'idea distorta. Dunque, nel 2016 ci sono stati 549 arresti. Tanti. Tantissimi, ma quel numero non deve trarre in inganno perché il totale comprende centinaia di persone che sono finite dentro per reati collegati in qualche modo al terrorismo: per intenderci l'immigrazione clandestina, lo scippo, lo spaccio di stupefacenti. Magari c'era e c'è una qualche connessione con la deriva islamista, ma questo non significa che si tratti di 549 terroristi. I dati, quelli veri, sono molto più umili e modesti. La caccia a aspiranti kamikaze e bombaroli è lenta e faticosa, molti gli insuccessi che il ministro naturalmente non cita, più di una inchiesta si è arenata purtroppo fra il tribunale del riesame e i diversi punti di vista dei magistrati. Normale dialettica, per carità, o se si vuole i soliti, farraginosi meccanismi della giustizia italiana, ma stringi stringi non resta tantissimo, anche se gli zeri sono in crescita e sempre più importanti gli sforzi per prevenire gli attentati.

I dati del 2015 aiutano a capire. A fine anno, in conferenza stampa, Alfano aveva elencato 259 arresti sulla frontiera della jihad. Repubblica, qualche settimana fa, ha riletto in chiave critica quelle tabelle e alla fine è emerso che gli arresti per terrorismo vero e proprio sono stati l' anno scorso solo 23. Si, 23 su 259. La montagna ha partorito il topolino e il topolino, sia detto senza ironia, ha pure tolto il disturbo. Cinque delle 23 persone ammanettate sono uscite in pochi giorni, anzi a razzo. In quattro casi le accuse sono franate davanti al tribunale del riesame, nel quinto è stata addirittura il gip a disporre la scarcerazione.

Al capo opposto, in un sistema che non riesce a trovare un equilibrio, altri cinque indagati hanno lasciato la cella per decorrenza dei termini. Insomma, per l'eccessiva durata della carcerazione preventiva e perché evidentemente non si riusciva ad andare a sentenza. Attenzione: qui non stiamo parlando di tangenti o rapine, ma di gente che se è vero quel che si suppone, è pronta a compiere stragi. Uno scenario inquietante è però con i soliti risvolti italiani. Fra sciatteria, ritardi cronici, pronunce talvolta incomprensibili o arzigogolate delle toghe. In buona sostanza 10 delle 23 misure cautelari prese nel 2015 sono evaporate o si sono smarrite fra un passaggio e l' altro.

Per questo Alfano sottolinea, tornando al 2016, le 102 espulsioni fra cui 8 imam.

Gli ultimi, ad essere buttati fuori, sono stati due marocchini. Un venticinquenne che aveva scardinato un crocifisso nella chiesa di San Geremia a Venezia e un sessantanovenne che il primo gennaio 2015 aveva urlato «espressioni avverse alla regione cattolica» nella chiesa di Cles e per questo era finito pure in cella.

«Dobbiamo separare chi prega da chi spara», prova a riassumere Alfano davanti a pochi intimi.

E intanto, come tutti, incrocia le dita.

Commenti