Cronache

Sentenze segno di un arretramento culturale

Sentenze segno di un arretramento culturale

Se la legge non deve farti la morale e non può impicciarsi dei tuoi affari di letto, se Genova non è Riad e l'Italia si fregia di essere la patria dei Verri e dei Beccaria, la sentenza che ha condannato a 16 anni l'uomo colpevole di aver ucciso la moglie fedifraga potrà forse ispirare qualche corte islamica ma il pm ligure deve impugnarla, senza remore. Ha deciso un giudice donna contro la richiesta a trent'anni avanzata da un pm donna.

Qualcuno sostiene che il genere femminile non avrebbe di che preoccuparsi poiché la sentenza l'ha pronunciata, in nome del popolo, un magistrato femmina, eppure questo omicidio passionale ha il sapore, amaro, del delitto d'onore. Uccidere lei per restaurare la reputazione di lui. Sul banco degli imputati è finita la vittima che non c'è più: la sua condotta sessuale è stata scandagliata al punto di diventare la formidabile attenuante delle responsabilità dell'assassino. E dire che, all'alba del Terzo millennio, pensavamo che i ripetuti tradimenti potessero condurre tutt'al più al divorzio, non alla morte per omicidio. Lei assicura al coniuge che lascerà l'amante, gli compra il biglietto d'aereo per farlo rientrare dall'Ecuador ma, scrive il giudice, la donna «non è affatto cambiata. Manifesta amore e subito dopo disprezzo, e questo fa impazzire il marito». L'uomo, «illuso e disilluso nello stesso tempo», perde il lume della ragione e la uccide a coltellate. Tra sconti e automatismi, i 16 anni di galera si ridurranno a meno di dieci, invece potevano essere trenta con una condanna all'ergastolo ridotto per via del processo abbreviato.

Il problema è l'interpretazione togata, l'eccessiva discrezionalità che trasforma il comportamento della traditrice recidiva in un'attenuante anziché considerarla, come avviene in casi simili, l'aggravante di un omicidio commesso per motivi futili e abietti. Va da sé che non esistono delitti passionali senza una componente emotiva, e risulta poi inaccettabile che il comportamento moralmente deprecabile di una donna, regolarmente sposata eppure legata a un amante dal quale promette di staccarsi senza mai staccarsi, diventi la base giuridica per trattarla come un soggetto di serie B, la fedifraga impenitente che avrebbe quasi armato le mani dell'aguzzino. Il bene supremo della vita umana ne esce ridimensionato sotto il peso del biasimo moralistico.

La sentenza di Genova è carburante puro per chi invoca forche e pene esemplari, alla stregua del verdetto bolognese che dimezza la pena per l'assassino preda di una «soverchiante tempesta emotiva» e di quello anconetano che assolve due imputati di violenza sessuale spiegando, tra l'altro, che «la vittima ha una personalità tutt'altro che femminile, quanto piuttosto mascolina».

L'arretramento culturale di queste decisioni togate è sotto gli occhi di tutti.

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