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La sfida del Papa in Egitto senza protezione. Tutti i rischi del viaggio del Santo Padre

Il Pontefice da oggi al Cairo. L'intelligence teme possibili attacchi dell'Isis

La sfida del Papa in Egitto senza protezione. Tutti i rischi del viaggio del Santo Padre

Da questa mattina Papa Francesco è nella tana del lupo. E convincere la bestia a poggiargli il muso sulle ginocchia non sarà facile. Soprattutto per un Papa presentatosi inerme e disarmato in un Egitto dove la violenza dell'Islam radicale non smette di far strage di cristiani. L'ultima volta il 9 aprile scorso quando una raffica di bombe ha massacrato i fedeli riuniti in preghiera nella chiesa di San Giorgio a Tanta e nella cattedrale di San Marco ad Alessandria. Che il Papa, messaggero di pace, sia un obbiettivo dell'odio lo sanno tutti. Riuscire a colpirlo mentre fa visita allo Sceicco Ahmed Al Taya Grande Imam della moschea di Al Azhar, durante l'incontro con il presidente Abdel Fattah El Sissi o nel corso della messa officiata al fianco del papa copto Tawadros II rappresenterebbe per l'Isis, Al Qaida o un altro gruppo del terrore islamista un successo paragonabile all'11 settembre.

Del resto, per quanto nessuno in Vaticano si sogni di ammetterlo, l'arrivo di Francesco in un Paese dove l'Islam radicale vuole sloggiare a colpi di bombe la presenza cristiana rappresenta un autentico guanto di sfida. Una sfida addirittura raddoppiata dalla decisione di Francesco di non usare auto blindate. Assumendosi quel rischio il Pontefice manda un doppio messaggio al nemico. Il primo è di non aver alcuna paura di lui. Il secondo è di esser pronto ad affrontarlo a testa alta sacrificando persino la propria incolumità pur di difendere il diritto dei cristiani copti il dieci per cento della popolazione egiziana a sopravvivere nell'Egitto musulmano. Ma la doppia sfida non è priva d'incognite. E chi ha il gravoso compito di badare alla sicurezza di Francesco lo sa bene. L'azzardo più temuto è l'eventuale attacco di cellule infiltrate nell'esercito e nelle forze di sicurezza difficilmente identificabili prima dell'entrata in azione. La presenza di quinte colonne pronte a colpire il Papa è tutt'altro che remota. Per ricordarne la pericolosità non serve tornare all'ottobre 1981 quando il presidente Anwar Sadat venne ucciso da una cellula di militari islamisti guidata dall'ufficiale di artiglieria Khaled Islambouli. L'attentato del 29 giugno 2015 costato la vita al procuratore generale Hisham Barakat, il giudice bestia nera degli integralisti, venne messo a segno da una cellula nascosta tra le fila delle Forze Speciali egiziane. E a dimostrare la capillarità di un'infiltrazione accentuatasi durante il potere dei Fratelli Musulmani del presidente Morsi, concorrono decine di altri episodi. Il commando armato che nel novembre 2014 attaccò una motovedetta nel porto di Damietta e rapì otto marinai era guidato da un ufficiale alla testa di militari rinnegati. E lo stesso vale per gli attentati messi a segno nella Penisola del Sinai da Wilayaat Sinaa, la locale costola dello Stato Islamico, famosa per avvalersi della collaborazione delle quinte colonne dei servizi di sicurezza. Ai rischi materiali di un viaggio in un Egitto scosso da violenza e attentati s'aggiungono poi le incognite politiche. L'incontro con Al Sisi susciterà inevitabilmente le critiche di chi considera il presidente egiziano un dittatore liberticida e lo accusa di non aver fatto chiarezza sull'assassinio del ricercatore italiano Giulio Regeni. La difesa ad oltranza dei copti minaccia, invece di urtare la suscettibilità del Grand Imam Al Taya.

Lo stesso Grand Imam che nel 2011 ruppe le relazioni con papa Benedetto XVI dopo le accuse di quest'ultimo alle autorità egiziane colpevoli di non aver difeso la comunità cristiana di Alessandria colpita, anche allora, da un sanguinoso attentato.

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