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Lo sfogo: Tsipras è un estremista ma la Merkel nel 2011 lavorò per scalzarmi

RomaNella lunga lettera pubblicata ieri dal Giornale con cui Berlusconi detta la linea del partito sul caso Grecia, un po' di inchiostro è rimasto nella penna. Nel documento si mettono in evidenza le «enormi responsabilità del governo greco» e si dipinge Tsipras come «rappresentante della sinistra peggiore: un mix di ideologia e di demagogia anticapitalista dagli effetti disastrosi». Ma non è solo colpa di Atene. Anche l'Europa ha le sue e Berlusconi le spiega tutte: regole stupidamente rigide; scelte egoistiche da parte dei Paesi più forti; l'attuazione della politica del «rigore senza sviluppo». Ma c'è un passaggio clou, quando il Cavaliere ricorda che fu lui, quand'era a palazzo Chigi, a chiedere di ridiscutere a fondo le regole di convivenza in Europa: «Il mio governo si impegnò molto in questa direzione, e forse fu proprio questa una delle ragioni per le quali alcuni ambienti europei, agendo in modo miope oltre che scorretto, lavorarono per farlo cadere». Ecco quello che manca, quello che - forse per ragioni di opportunità - Berlusconi evita di mettere nero su bianco ma che tutti sanno: fu la Merkel, spalleggiata da Sarkozy, la regista del complotto ai suoi danni per costringerlo alle dimissioni, nell'autunno del 2011. Chiaro il disegno neocoloniale a cui Berlusconi ha provato ad opporsi fino all'ultimo. Le vicende sono note e confermate da testimoni terzi: dall'ex premier spagnolo Luis Zapatero che nel suo libro Il dilemma scrisse che Berlusconi venne fatto fuori da Bruxelles; all'ex segretario del Tesoro Usa Tim Geithner che nelle sue memorie Stress test. Riflessioni sulle crisi finanziarie raccontò le pressioni subite da alcuni funzionari europei per promuovere l'uscita di scena di Berlusconi; pressioni a cui Geithner si oppose con un «Non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani».

Eppure la congiura si perfezionò. Erano i primi di novembre del 2011, Merkel e Sarkozy si scambiavano sorrisetti, erano i giorni durissimi del G20 di Cannes, con la speculazione già in atto e lo spread che volava. Ma già da prima, già in giugno e luglio, l'allora capo dello Stato Napolitano sondava Mario Monti come successore del Cavaliere. Fu lo stesso Monti a dichiararlo in un'intervista ad Alain Friedman. Stesse ammissioni arrivarono da Prodi e da Carlo De Benedetti: tutti già pronti a dispensare consigli sul timing giusto per entrare in scena al posto del Cavaliere. Pure Passera (che poi divenne ministro del Professore) aveva già acceso i motori scrivendo un programma economico di 196 pagine. Berlusconi doveva cadere e c'era già pronto il successore. A quel G20 Merkel e Sarkozy fecero di tutto per convincere Berlusconi ad accettare l'aiuto di 80 miliardi di euro dell'Fmi: in pratica aprire le porte alla famigerata troika (Fmi, Bce, Commissione Ue) e commissariare il Paese. Nei corridoi già si parlava di Monti premier e Merkel e Napolitano si sentivano al telefono di continuo. «Presidente, lei deve fare tutto ciò che è in suo potere per promuovere riforme più aggressive» era il refrain di Frau Angela a Re Giorgio. Berlusconi ormai era spacciato.

Era l'aiuto offerto (in euro) dal Fmi all'Italia nel 2011 in cambio del commissariamento da parte della troika (Fmi, Bce e Ue)

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