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Sicilia, sentenza choc: il giudice assolve gli scafisti per "necessità"

Il pm chiede l'ergastolo, il Gup ribalta tutto: «Costretti dai trafficanti». Ora sono già liberi

Sicilia, sentenza choc: il giudice assolve gli scafisti per "necessità"

Scafisti «per forza», non per scelta. Dunque innocenti. Hanno condotto un gommone salpato dalle coste libiche nel luglio del 2015 per raggiungere la Sicilia. Una traversata difficile, in quanto il natante si è sgonfiato, imbarcando acqua. Bilancio: 12 immigrati annegati nel Canale di Sicilia. Per questo la procura di Palermo aveva chiesto l'ergastolo per entrambi gli imputati, individuati come nocchieri, accusati di omicidio plurimo. Ma per il Gup di Palermo Gigi Omar Modica, il 24enne Dampha Bakary del Gambia e il senegalese 21enne Jammeh Sulieman non hanno alcuna colpa, perché sarebbero stati costretti dai trafficanti di vite umane libici, armati con «armi da guerra», a mettersi alla guida del gommone stracarico con oltre 100 passeggeri. E li ha assolti perché il fatto non costituisce reato, riconoscendo lo «stato di necessità».

Secondo il Gup di Palermo i due ventenni «non avevano altra scelta se non quella di commettere i reati» che vengono loro contestati, cosa che ha consentito loro di salvarsi la vita. Ma non decisero «autonomamente e liberamente di avventurarsi per il Mediterraneo alla guida di un mezzo di fortuna, carico all'inverosimile di persone», furono costretti.

La sentenza, emessa con il rito abbreviato, ha ovviamente destato grande stupore, soprattutto alla luce di alcuni punti scritti nero su bianco in 17 pagine di motivazioni. E la procura di Palermo di certo non si ferma qui. Impugnerà la sentenza. «Faremo appello», dice il procuratore aggiunto, Maurizio Scalia, che ha coordinato l'inchiesta, e che in rispetto della sentenza preferisce non aggiungere altro commento.

Andando indietro nel tempo, ai momenti immediatamente successivi allo sbarco avvenuto nel porto di Palermo, dopo l'intervento in mare della nave Dattilo dei soccorritori, i due scafisti dichiararono agli investigatori di essersi messi alla guida del natante in cambio della traversata gratis. Cosa che, tra l'altro, accade non di rado. I due scafisti in questione non fecero alcun cenno alle minacce subite da parte degli organizzatori del viaggio libici, peraltro armati di kalashnikov. Per quale motivo sottacerlo? I particolari inerenti la costrizione subita saltano fuori solo parecchi mesi dopo, ovvero quando ormai c'è stato l'avviso di conclusione delle indagini. Evidentemente di questo la sentenza non ha tenuto conto.

C'è poi un aspetto che meriterebbe delle delucidazioni. Il giudice non ha ritenuto attendibili le testimonianze di immigrati passeggeri di quel viaggio che accusarono i due indicandoli quali nocchieri. Ebbene, secondo quanto sancisce la Convenzione Onu, ai testimoni, in cambio della loro collaborazione, viene concesso il permesso di soggiorno al fine di ricevere protezione. Lo prevede la legge. Per il giudice però, i testimoni, essendo a conoscenza dell'agevolazione, «beneficio non secondario», non sono attendibili perché avrebbero avuto un «preciso interesse a rendere dichiarazioni accusatorie». Sembrerebbe una contraddizione, dal momento che, anche quando i testimoni avessero ben nota la legge (anche se non lo sappiamo per certo) si tratta di agevolazioni alla luce del sole, in rispetto delle convenzioni internazionali, paragonabile, seppure in tutt'altro campo, ai benefici che spettano ai pentiti di mafia, che non vengono di certo ritenuti inattendibili perché spetta loro l'agevolazione.

I due scafisti «per necessità» sono adesso a piede libero e c'è il rischio che la sentenza possa anche creare un precedente.

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