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Quel silenzio sui veri conti Expo e le ombre sul futuro dell'area

Quel silenzio  sui veri conti Expo e le ombre sul futuro dell'area

Dal punto di vista gastronomico e turistico Expo è stata un successo. Dal punto di vista dell'ambizioso tema su come nutrire il pianeta forse no. Per altro ora la domanda è quale sia il risultato economico e finanziario dell'iniziativa, costata allo stato 1 miliardo e 438 milioni, alla Lombardia e al Comune di Milano qualche altro centinaio di milioni. L'avanzo, a fine gestione, è solo di 14,2 milioni. Il governo Renzi ha da poco stanziato altri 150 milioni per la riconversione del sito. Sapere come è andata la precedente gestione sul lato dei costi e dei ricavi è necessario, anche per evitare che la somma serva in parte a sanare buchi della gestione ora chiusa a causa di voci mal contabilizzate. Dato che l'amministratore della gestione di Expo, il dottor Giuseppe Sala, ex manager Pirelli poi al vertice di Tim e di Telecom Italia, è ora candidato sindaco di Milano per il Pd, sponsorizzato dal premier Renzi, è particolarmente interessante conoscere il rendiconto di questa grande iniziativa.

La legge dispone che tale rendiconto venga presentato la termine della gestione. Si sperava di averlo in gennaio, ma a fine febbraio ancora non c'è. Ci sono scarne indicazioni. Nel 2015 la gestione ha avuto una perdita di 30-32 milioni. Nei costi però non sono inclusi quelli di uso dei beni di investimento, che sono costati 1,240 miliardi. I ricavi degli ingressi sono stati solo 373 milioni, su 673 complessivi. Dei restanti ricavi 224 sono sponsorizzazioni, voce che spesso, include sovvenzioni mentre i «ricavi diversi» sono stati 138 milioni. Nei costi di esercizio vi sono, per ora, voci generiche elevate di carattere promozionale. Questi costi detti «intangibili» spesso non sono fiscalmente «inerenti all'esercizio».

Non si sa, dunque, se all'esercizio vadano aggiunte imposte sui profitti per costi non detraibili. Si ignora anche l'onere per Irap. Ciò che in qualche modo stupisce è che il dottor Sala, alle critiche circa la perdita di esercizio, abbia replicato che ciò che conta è l'avanzo patrimoniale. Esso di certo non basta per giudicare se, dal punto di vista economico, ci sia stata una gestione efficiente ed efficace. Non c'è bisogno di esser laureati in economia e commercio per capirlo. L'avanzo patrimoniale però ha un suo valore in relazione a ciò che ora deve accadere, ossia alla riconversione che comporta importanti operazioni finanziarie immobiliari sulle vaste aree di Expo. Esse sono dotate di buone infrastrutture e di fabbricati riutilizzabili, in parte senza notevoli spese di adattamento, in parte con spese notevoli a cura di chi le comprerà. I prezzi di acquisto sono incerti, dato che non si tratta di operazioni abituali e dato che le destinazioni possibili sono diverse. E qui viene l'interessante: perché il progetto che il premier Renzi ha annunciato (un centro di ricerche di biotecnologie d'avanguardia) non riguarda tutta l'area ma solo una parte.

Esso è attuato da un centro di ricerca scientifica di elevata qualità di Genoa, che ha a disposizione uno stanziamento notevole, ma che serve solo per un pezzo della grande area. Il progetto di certo è valido, e spostato in Lombardia acquista maggior rilevanza in quanto questa regione, a differenza della Liguria, ha una importante vocazione agroalimentare e di industrie agrarie. Non è chiaro però perché l'Università di Pavia, ubicata in una delle principali di tali zone e che ha un elevato livello scientifico, sia esclusa dal progetto. Qualcuno gestirà queste operazioni immobiliari utili al Paese, ma con costi variabili a carico del bilancio pubblico. Questo è il primo pezzo. C'è poi la restante porzione d'area, che è maggiore. È ovvio che il sindaco di Milano, se è un ex capo di Expo, avrà un ruolo importante in queste operazioni. Passando dalla Toscana alla Lombardia, il governo Renzi realizza intrecci di finanza e politica regionale mentre i governi di Monti e Letta erano collegati alla grande finanza internazionale. Dalla serie A i governi non eletti a guida Pd passano alla serie B.

Forse questa è la nuova versione del regionalismo renziano, che si collega a quella del Senato fatto di membri dei consigli regionali e di sindaci delle grandi città, riforma appena approvata.

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