Cronache

La sinagoga "riapre" dopo 1.650 anni

Nozze ebraiche nei resti dell'antica Scyle, risalente al IV secolo dopo Cristo

Foto di Luigi Salsini
Foto di Luigi Salsini

Le lancette della storia ieri in Calabria sono tornate indietro di 1.650 anni. Tanti nel sono passati dall'ultimo matrimonio di rito ebraico fino a ieri, quando due ragazzi hanno deciso di giurarsi eterno amore secondo il rito del nissuìn, la cerimonia del matrimonio ebraico, dentro il Parco archeologico ArcheoDeri di Bova Marina (Reggio Calabria), in quella che si ritiene l'antica Scyle (con diverse varianti toponomastiche come Scillàca o Scilliàca), località di passaggio tra Taranto e Reggio Calabria. A officiare diversi rabbini (Ezra Raful, Rav Momigliano, Elia Richetti, Gad Fernando Piperno), sindaci, studiosi, giornalisti e ovviamente amici della coppia, Roque e Ivana, che hanno avuto l'idea di sposarsi in Calabria.

La sinagoga ArcheoDeri (nella foto di Luigi Salsini) risale almeno al IV secolo e in Occidente è seconda solo a quella di Ostia Antica (I secolo). Negli anni Ottanta, quando venne alla luce, venne identificata come una villa romana, poi si è scoperta un'antica necropoli e il parco ha iniziato a dischiudere i suoi preziosissimi tesori. Un grossa anfora e una brocca infossata nel pavimento e dentro uno scrigno con 3.070 monete bronzee, parecchie anfore d'argilla di manifattura ebraica e soprattutto un mosaico che rappresenta i principali simboli giudaici: la menorah (il candelabro a 7 bracci), lo shoffar (il corno d'ariete), il cedro e, il ramo di palma e il nodo di Salomone.

I rapporti tra la Calabria e Israele si confermano antichissimi. Secondo la leggenda la stessa Reggio Calabria fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé. La prima opera in ebraico con indicazione di data certa venne stampata proprio a Reggio Calabria: si tratta di un commentario al Pentateuco di Shelom ben Yshaq stampato da Abraham ben Garton a Reggio «nel mese di Adar dell'anno 5235 della creazione del Mondo», vale a dire tra il febbraio e il marzo del 1475, scoperto dal bibliografo e orientalista piemontese Giovanni Bernardo De Rossi che nel 1816 lo avrebbe ceduto a Maria Luigia d'Austria, duchessa di Parma, dove adesso si trova conservato anche se da settimane si parla di un possibile ritorno dell'incunabolo di 115 pagine in riva allo Stretto.

Piccoli segnali di pace in un periodo difficile per la comunità ebraica in Italia e in Europa, stretta tra rigurgiti antisemiti e minacce jihadiste.

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