Politica

La sindaca libellula già finita fuori moda

La vita politica di Virginia Raggi è coincisa con l’anno solare 2016 e in pochi sentono l’esigenza che continui nel 2017

La sindaca libellula già finita fuori moda

La vita adulta dell’efemera, insettino simile a una libellula, dura un’ora e mezza. La vita politica di Virginia Raggi è coincisa con l’anno solare 2016 e in pochi sentono l’esigenza che continui nel 2017. Certo, le delusioni bisogna sapersele aspettare e non subirle, ma nessuno pensava sarebbe stato tutto così istantaneo, cursus honorum e viale del tramonto a tempo di record.

Virginia Raggi è stato uno choc, come i risvoltini ai pantaloni: una moda virale, un’infatuazione collettiva seguita da un impietoso risveglio. Ma se la sua amministrazione finora è stata grottesca come un quadro di Bosch, tutti noi a fine anno dovremmo ringraziarla per averci fatto capire cosa vuol dire essere governati dal dilettantismo grillino. L’Armageddon romano non è tutta colpa sua. Il Movimento l’ha usata, divorata e ora scaricata, ma Virginia ha sbagliato tutto. Brillante civilista, di lei resteranno elogi untuosi per la grazia, discorsi elettorali di buon senso, le chiacchierate segrete sul tetto del Comune e le interviste in inglese con l’accento oxfordiano: indispensabile per un’interprete, secondario per un sindaco. Il no melvilliano alle Olimpiadi a Roma, la barzelletta sul complotto dei frigoriferi per strada e un miserabile albero di Natale da Bulgaria anni ’70 sono le uniche cose che ha donato alla città; il resto del tempo lo ha passato a imbastire video di scuse, stritolata tra guelfi e ghibellini, costretta a giocare all’alchimista tra poltrone e avvisi di garanzia per trovare la quadra di una giunta che sembra lo Yeti: tutti ne parlano ma non ci sono prove della sua esistenza. Dalla ciurma indistinta dei peones in consiglio comunale al 67% al ballottaggio, la Raggi è stata il prototipo di leader occasionale, la messia a tempo determinato della politica esclusivamente destruens.

È stata un rimedio miracoloso e ciarlatano. Così la prima sindaca donna di Roma è stata presto derubricata a fallita, il «volto umano del grillismo» trasformato in maschera dell’inadeguatezza, la stella dei 5 stelle implosa come una supernova. Virginia ha riassunto in dodici mesi ascesa e declino di 45 anni di Prima Repubblica, ha inanellato gaffe e silenzi imbarazzati, è apparsa prima fatina e poi burattino di direttorio e Grillo. Fragile e in mano al suo «Raggio magico», ha fatto rimpiangere i vecchi politici, maneggioni ma almeno efficienti. Nell’era dell’apparire, è riuscita a monopolizzare i giornali coi suoi guai. Frongia, Marra, Romeo, Muraro, Raineri, De Dominicis, Colomban: una squadra di calcio di assessori sotto inchiesta e fedelissimi defenestrati poi sostituiti con meccanismi da X-Factor. Così Virginia ha gettato via il diploma di santità civile attribuitole prematuramente a furor di popolo, dimostrando che uno varrà pure uno, ma da solo non salva nemmeno il suo guardaroba, figuriamoci una Capitale.

Per questo il 2016 passerà alla storia come l’anno della Raggi, la madonnina infilzata che confermò la massima di Flaubert: non toccate mai i vostri idoli, la doratura si attacca alle dita.

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