Politica

Sindaci ladri o ciechi, sono comunque tutti da cacciare

Politici di ogni colore dovrebbero spiegare come abbiano fatto a non accorgersi di essersi circondati da una quantità cospicua di farabutti patentati

Il sindaco Ignazio Marino in una foto con Salvatore Buzzi
Il sindaco Ignazio Marino in una foto con Salvatore Buzzi

Breve riflessione sui fattacci di Roma, che non è più un'esagerazione leghista definire ladrona. Non abbiamo letto i rapporti degli investigatori, e ciò che sappiamo - non molto - lo abbiamo appreso dai media, pertanto non ci addentriamo nelle questioni giudiziarie. Un dato però è sicuro: il sistema furfantesco era consolidato e faceva perno sulla collaborazione stretta fra politici, responsabili delle casse pubbliche, e criminali che erano riusciti a intrufolarsi nelle stanze del potere, ricoprendo ruoli importanti, al punto che era affidato loro il compito di gestire a vario titolo ingenti capitali, gran parte dei quali piovevano nelle loro tasche e non solo nelle loro.

Ciò precisato, i sindaci e gli assessori di ogni colore, avvicendatisi in Campidoglio e alla Regione Lazio, dovrebbero ora spiegare come abbiano fatto a non accorgersi di essersi circondati da una quantità cospicua di farabutti patentati, tra cui non mancavano colli da forca, ex picchiatori, avanzi di galera. Cosa dobbiamo pensare? Che essi non abbiano letto i curriculum di coloro ai quali avevano delegato la conduzione di campi rom, case popolari eccetera, un giro di milioni e milioni che poi non servivano ad assistere poveri ed emarginati, ma a gonfiare le tasche della banda e relativi affiliati?

Fosse così, fatta salva (forse) la loro buona fede, vorrebbe dire che si sono comportati con una leggerezza imperdonabile, ai limiti dell'incoscienza. Se invece, come è più probabile, gli amministratori erano consapevoli di avvalersi dell'opera di malviventi e non li hanno cacciati, per quieto vivere o convenienza personale, devono subito dimettersi da ogni incarico e rassegnarsi a pagare. Chi poi non siede più su poltrone di spicco faccia ammenda e abbandoni la scena politica, in attesa che la giustizia ne decida la sorte.

Non è ammissibile, in ogni caso, che personaggi con funzioni istituzionali di rilievo, davanti allo scandalo, fingano di essere sorpresi, si giustifichino in maniera infantile: ero all'oscuro, non c'ero e se c'ero dormivo. L'associazione per delinquere infatti agiva da parecchi anni, era costituita da famosi criminali ed è difficile credere che i loro referenti politici ne ignorassero i precedenti penali, consentendo che maneggiassero denaro pubblico senza sentire l'esigenza di effettuare controlli. Insomma non la beviamo; siamo piuttosto portati a supporre che essi tollerassero il malcostume dei corruttori e dei corrotti perché era anche il loro modus vivendi, e non avvertivano neanche il pericolo di essere sgamati nella convinzione che la disonestà nel Palazzo fosse un elemento indistinguibile dall'arredamento.

Da notare che qualche avvisaglia c'era stata un paio di anni fa allorché la Regione Lazio fu investita dalla burrasca, causa prelievi illegittimi di soldi dal fondo riservato ai gruppi consiliari. In sintesi, numerosi politici spendevano montagne di euro per sé, anziché per l'attività di partito. La presidente, Renata Polverini, chiamata a renderne conto, dichiarò di non essere al corrente delle ruberie. Fu costretta a dimettersi in anticipo sulla scadenza del mandato.

Una domanda resta in sospeso: è lecito che chi sta in alto non si degni di guardare in basso per verificare dove finiscano i quattrini pubblici?

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