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La sinistra fa "tombola" e con l'aiuto degli ex si prende pure il governo

Grazie al "tecnico" Manfredi, l'area Pd ha 11 ministri contro i 10 M5s. Lite Lezzi-Bellanova

La sinistra fa "tombola" e con l'aiuto degli ex si prende pure il governo

Perdere le elezioni e ritrovarsi al governo è già un mezzo miracolo, ma finire con l'essere maggioranza anche nel Consiglio dei ministri è un capolavoro. Con il rimpastino e lo sdoppiamento dell'Istruzione nato dalle dimissioni del grillino Fioramonti, il Pd ha guadagnato una poltrona ministeriale. È quella del nuovo titolare della delega su Università e Ricerca, il rettore napoletano Gaetano Manfredi, un tecnico sì, ma conteggiato a tutti gli effetti in quota Pd (è stato consigliere del governo Prodi, suo fratello è un ex deputato Pd), anche se stimato sia dal Colle che da Luigi Di Maio in quanto barone universitario del Sud (nello specifico, di Napoli, territorio di Luigino). Non per niente il suo primo impegno da ministro è stato quello di «potenziare subito gli atenei del Sud», uno slogan perfettamente in linea con la politica «più soldi al Meridione», portata avanti dal leader M5s (e da Conte). Il problema, già emerso nei messaggi dei parlamentari grillini più critici, è che con questa mossa il centrosinistra ottiene più ministri del M5s. È il Pd soprattutto a fare tombola, contando che è arrivato in Parlamento nel 2018 con circa un terzo di eletti rispetto al M5s. Se si conteggiano semplicemente le poltrone il Pd ora ha ben otto ministri, quattro viceministri e 13 sottosegretari. I Cinque stelle hanno solo un ministro in più, pur valendo in Parlamento quasi il triplo del Pd. Ma va considerato poi che il calcolo per i Dem è al ribasso solo perché c'è stata la scissione dei renziani di Italia Viva, tutti ex Pd che occupano altri due ministeri: Agricoltura (con Teresa Bellanova) e Pari opportunità (ministro Elena Bonetti). Il centrosinistra ha poi la Salute, con Roberto Speranza, altro ex Pd, ora Leu. In sostanza il Cdm è composto da undici ministri piddini ed ex piddini contro dieci pentastellati, a cui va aggiunto però il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro (M5s) e poi il premier Giuseppe Conte. Il quale, però, si muove sempre più come una sponda del Pd (Zingaretti lo ha definito «un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste») più che come un vassallo di Di Maio, com'era agli inizi della sua avventura politica. Vale però anche il peso dei ministeri, non solo il numero. E anche qui il Pd ha ottenuto l'insperabile, avendo perso tutte le recenti elezioni. I Dem hanno infatti il numero due dell'esecutivo, il ministro dell'Economia, e poi controllano due dicasteri di enorme peso, le Infrastrutture e la Difesa. Con lo spacchettamento dell'Istruzione, poi, hanno sfilato ai Cinque stelle anche il reparto Università, altro settore che assicura influenza, potere decisionale su finanziamenti pubblici e voti. Finora quindi il matrimonio con il M5s è stato proficuo per il Pd che ha ottenuto poltrone e ha ripreso vigore nei sondaggi (ormai ha superato i Cinque Stelle). Certo c'è stata l'operazione disturbatrice di Renzi che punta a sottrarre altri parlamentari al Pd e cerca visibilità minacciando a giorni alterni un penultimatum (ieri è toccato alla Boschi: «Il governo deve lavorare o gli italiani si chiederanno cosa resta a fare») mentre la Bellanova è stata attaccata in serata dall'ex ministro M5s Lezzi: «Le fa schifo il Reddito di cittadinanza? Allora lasci».

Ma, al di là delle parole, l'obiettivo di Iv - stimato al massimo al 5% - è stare al governo il più a lungo possibile, fino al 2023. Di mezzo poi ci sono altre poltrone succulente da spartirsi insieme al Pd, quelle delle partecipate pubbliche. E poi, tra due anni, la più importante di tutte, il Quirinale.

Motivi validissimi per farsi andare bene Conte, Di Maio, Bonafede e compagnia cantante.

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