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La sinistra vive di scissioni

Possibile, Dema, Sinistra Italiana, Campo progressista e ora il partito dei bersanian-dalemiani. Ecco tutte le scissioni che ha subìto il Pd

La sinistra vive di scissioni

Pci-Pds-Ds-Pd a sinistra, Rifondazione-Pdci-Sinistra Arcobaleno-Fds-Sel-Si ancora più a sinistra. Nel corso degli ultimi 20 anni il centrosinistra italiano ha conosciuto più partiti che nei primi 50 anni di storia repubblicana.

D'Alema non si arrende a Renzi

L’uscita dal Pd di Pier Luigi Bersani e della sinistra dem rischia di creare una frattura ben più importante della scissione di Palazzo Barberini dal Partito Socialista Italiano attuata da Giuseppe Saragat. Oggi ‘burattinaio’ dell’operazione è Massimo D’Alema, ex presidente del Consiglio ed ex segretario del Pds/Ds, il più feroce oppositore di Matteo Renzi. D’Alema, prima ha fondato i comitati del No al referendum e, poi, ha giurato: “Quando finisce questa campagna elettorale tornerò pienamente al mio lavoro, quello di presiedere la Fondazione culturale dei Socialisti europei a Bruxelles e quindi non mi occuperei della politica italiana". Ma si sa, i leaders della sinistra fanno promesse da marinaio. Anche Renzi aveva giurato più volte: “Se perdo il referendum, mi ritiro dalla politica” e, molto prima di lui Walter Veltroni con l’indimenticabile: “Quando smetto con la politica, vado in Africa”.

I motivi della scissione

Ora, invece, Renzi sta preparando la sfida all’Ok Corral con la minoranza e Veltroni, primo segretario del Pd, alquanto preoccupato, è intervenuto sul Corriere della Sera:“L’idea di dividersi è un incubo”. Eppure la scissione è dietro la porta, anzi per Bersani “è già avvenuta”, con gli elettori in occasione del referendum. Renzi sembra essersi rassegnato. “Non si fa una scissione sulla data del Congresso”, ha commentato in questi giorni. E, infatti, la rottura ha ragioni ben più pragmatiche e profonde. Da un lato la minoranza non ha un candidato unitario da contrapporre in così breve tempo a Renzi e dall’altro ha vissuto la sua segreteria come un’anomalia. A parte la parentesi di Dario Franceschini che nel 2009 ha svolto il ruolo di reggente dopo le dimissioni di Veltroni, il Pd non è mai stato guidato da un ex margheritino e la componente ex diessina ha sempre dettato la linea. E ora, se Renzi dovesse rivincere il Congresso, con l’attuale legge elettorale si troverebbe ridimensionata perché spetterebbe al segretario decidere le candidature e capilista bloccati. Ecco dunque la necessità della minoranza dem di uscire dal Pd e sperare, come ha detto D’Alema, di raggiungere quel 10% che, grazie a una legge proporzionale, consenta ai vari Bersani, Speranza ed Emiliano di avere rappresentanza in Parlamento.

Le scissioni non portano bene alla sinistra

I numeri dicono che chi si è separato dal Pd, come Francesco Rutelli con la sua Api, non ha avuto grande seguito e che la sinistra radicale non supera il 5% dal lontano 2006. Sinistra Italiana, il soggetto politico che doveva servire per unire i vendoliani di Sel con i fuoriusciti del Pd, si sta dividendo ancor prima di essere nata. Il capogruppo alla Camera, Arturo Scotto, è pronto ad abbandonare l’intransigente Nicola Fratoianni per seguire il progetto di Giuseppe Pisapia del “Campo progressista” che guarda al Pd. Sarebbe da smemorati, poi, non citare ‘Possibile’ di Pippo Civati e il movimento Dema, Democrazia autonoma del sindaco Luigi De Magistris che nasce dalle ceneri del ‘Movimento Arancione’.

In questo contesto nascono spontanee alcune domande. Come può il Pd possa risollevarsi se rielegge Renzi, il segretario che si è dimesso da premier dopo aver perso un referendum costituzionale 60 a 40? E come può un Bersani riproporsi agli italiani dopo che, all’indomani delle elezioni 2013, aveva commentato: “Siamo arrivati primi ma non abbiamo vinto"? E chi può tenere insieme Enrico Rossi, Michele Emiliano, Pisapia, Civati, De Magistris, Stefano Fassina e Fratoianni? In attesa di una risposta, siamo certi che arriverà prima una nuova scissione…

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