Politica

Siria, l'Isis perde Manbij E la folla esultante si toglie barbe e burqa

Nell'ex roccaforte del Califfo si cancellano i segni della sottomissione allo Stato Islamico

Gian Micalessin

«Perché ci avete messo così tanto?». Quell'interrogativo urlato, in un misto di gioia e di rimprovero, da una donna in lacrime mentre altre donne si strappano di dosso i lugubri «niqab» e aspirano con passione il fumo delle sigarette sono da ieri il simbolo della liberazione di Manbij, la citta del nord della Siria rimasta per due anni sotto il tallone dello Stato Islamico.

Ma in quell'urlo, in quelle pose, accompagnate dalla discesa in piazza di decine di uomini corsi a tagliarsi le barbe simbolo della sottomissione all'Islam più truce non c'è solo la gioia per la fine delle disumane costrizioni imposte in due anni di dominio dallo Stato Islamico. In quella domanda, in quelle immagini aleggia l'esplicito biasimo nei confronti delle nazioni occidentali che dal 2014 ripetono di voler combattere l'Isis, ma per lungo tempo si son ben guardate dal rispettare l'impegno.

La riconquista di questa città chiave, distante meno di 50 chilometri dal confine turco è invece il primo, vero obbiettivo raggiunto dall'Occidente sul fronte siriano della lotta all'Isis. E non solo perché da Manbij sono transitati migliaia di jihadisti europei decisi a combattere con il Califfato, ma perché la sua caduta rappresenta la prima significativa vittoria delle Forze Democratiche Siriane (Sdf), la coalizione composta al 60 per cento da curdi del Ypg (Unità di Protezione Popolare, la branca siriana del Pkk turco) e per il resto da milizie arabe non islamiste.

Nata nel dicembre del 2015 la coalizione rappresenta la risposta dei generali del Pentagono agli errori di una Cia che in Siria ha sempre preferito appoggiare i gruppi jihadisti finanziati da Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Con la conquista di Manbij la scelta del Pentagono appare decisamente più lungimirante visto che ora le forze dell'Sdf sono a un passo dal controllare gran parte di quei territori al confine con la Turchia da cui transitano i rifornimenti per lo Stato Islamico e i gruppi jihadisti.

Questo potrebbe sbloccare l'offensiva su Raqqa, la capitale siriana del Califfato distante 135 chilometri in direzione sud est. Militarmente la vittoria di Manbij rappresenta una svolta cruciale perché deriva dall'abbinamento delle capacità tattiche delle combattive unità curde all'incisività delle forze speciali americani e inglesi che i hanno garantito la precisione degli intensi raid aerei.

Questo ben orchestrato miscuglio di motivazione guerriera e tecnologia bellica si sta dimostrando la migliore ricetta per estirpare alla radice la presenza dell'Isis. Certo non si tratta di una ricetta indolore. Secondo le stime più realistiche la battaglia di Manbij, iniziata a fine maggio, sarebbe costata la vita ad oltre 1700 civili e a circa 290 combattenti dell'Sdf. Sconosciute invece le reali perdite dello Stato Islamico. Fonti locali parlano di oltre 3000 caduti, ma la stima sembra decisamente azzardata visto il reticolo di tunnel utilizzato solitamente dai miliziani dell'Isis per sottrarsi ai bombardamenti aerei.

E nelle ultime ore sembrano essere state definitivamente smentite le notizie secondo cui gran parte dei 100mila abitanti della città sarebbero stati trasformati in scudi umani e deportati dai miliziani in fuga. Affollata di jihadisti europei che hanno combattuto fino all'ultimo tra le sue rovine Manbij è stata addirittura soprannominata la «piccola Londra» per la massiccia e costante presenza di volontari provenienti dall'Inghilterra. Volontari che hanno svolto un ruolo centrale anche nelle le ultime fasi della battaglia quando, secondo alcune fonti, il Califfato ha affidato l'estrema difesa della città ad alcune unità suicide composte da francesi e britannici.

I kamikaze con passaporto europeo confluiti da Raqqa avrebbero guidato gran parte dei blindati imbottiti di esplosivo con cui il Califfato ha cercato di bloccare le ultime fasi dell'offensiva.

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