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Il politologo Tarchi: "È uno slogan che non più ha senso. Una sciocchezza di chi non ha idee"

Il politologo di destra Marco Tarchi che negli Anni di piombo fondò la rivista "La voce della fogna": "La sinistra si aggrappa agli spauracchi"

Il politologo Tarchi: "È uno slogan che non più ha senso. Una sciocchezza di chi non ha idee"

«La destra deve tornare nelle fogne». Marino ha pagato il conto per aver rispolverato un insulto usato negli Anni di piombo per delegittimare gli avversari. Ne sa qualcosa Marco Tarchi, politologo e tra i massimi esperti di populismo. Lui, proprio in quegli anni, fu fondatore e direttore di una rivista satirica improntata all'ironia nei confronti dei detrattori ma anche della stessa destra.

Come mai si chiamava proprio La voce della fogna?

«Per far capire che anche i reietti avevano idee, valori, sentimenti alternativi a quelli di moda. L'editoriale del primo numero si intitolava Oggi le catacombe si chiamano fogne. Più chiari di così...».

Come è nata la storia della frase «fascisti carogne tornate nelle fogne»?

«Immagino dalla vena creativa di un poeta dell'ultrasinistra, che per coerenza ideologica non ne ha preteso il copyright. Comunque in quell'ambiente è stata un refrain di successo».

Come ci si sentiva a essere chiamati così e a essere fascisti o post fascisti negli anni '70 e '80?

«Negli anni Settanta accentuava la sensazione di diversità dal resto del mondo, di cui ci si vantava».

È di quel periodo anche lo slogan "Uccidere un fascista non è reato". Anche oggi si verifica questo gioco dei due pesi e due misure?

«Certamente, ma non è in gioco la destra, quanto l'insieme di coloro che hanno opinioni non in regola con i dettami del politicamente corretto, ovunque si collochino».

Che senso ha oggi un insulto del genere?

«Nessuno. È una delle tante sciocchezze prodotte quotidianamente dagli esponenti della classe politica, che coprono con le risse la carenza di idee».

Anche la Boldrini, con il caso della lista dei Fasci, sembra voler evocare le fogne. I fascisti sono davvero così pericolosi?

«Ovviamente no, ma se alla sinistra che ha rinunciato a quasi tutte le idee che aveva sostenuto da metà Ottocento in poi, a partire dall'anticapitalismo, si togliesse anche lo spauracchio del fascismo, cosa la distinguerebbe dal resto del panorama politico?».

Perché la sinistra radical chic usa gli ancora anni 70 per nascondere i suoi errori?

«Perché, come del resto i suoi avversari, non ha ricette credibili ed efficaci per il presente e non sa immaginare un futuro migliore. Rifugiarsi nel passato e animare guerre tra fantasmi è tipico di tutti coloro che coltivano l'illusione della fine della Storia, che invece è viva e un giorno passerà a chiedere il conto di questa miopia».

In una società dove l'antipolitica la fa da padrona, qual è l'insulto più utilizzato?

«Al di là del repertorio di quelli che si usano in qualunque altro contesto, mi pare che oggi vadano di moda xenofobo e omofobo. Sono aggettivi squalificanti molto in voga a sinistra, che consentono di far passare per un crimine quelle che per molte persone sono preferenze a lungo considerate normali se non scontate: chiunque non mostri di avere verso stranieri e omosessuali una spiccata ed esibita simpatia è sospettato di coltivare pregiudizi razzisti o discriminatori. Segni dei tempi».

Sarebbe riproponibile oggi un'esperienza come La voce della fogna?

«Adeguandola ai tempi, sì.

I bersagli polemici non mancano».

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