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Quella società mangiasoldi che Ingroia non sa chiudere

Chiamato come liquidatore, ha riassunto i dipendenti. E la corte dei Conti vuole i danni

Quella società mangiasoldi che Ingroia non sa chiudere

Liquidata, perché era un inutile carrozzone mangiasoldi che alla Sicilia costava circa 25 milioni di euro l'anno. Rimessa in piedi dopo la liquidazione, anzi presa in carico da mamma Regione che all'improvviso ha scoperto che era indispensabile. Restaurata, affidata all'ex liquidatore ora promosso amministratore unico, e entrata nello stretto entourage delle 11 partecipate che, giura il governatore Rosario Crocetta, non si toccano. E ora nel mirino della Corte dei conti, che contesta agli amministratori un danno erariale di un milione di euro.

La storia di «Sicilia-eServizi», la società informatica della Regione siciliana celebre perché guidata da uno degli ex pm più famosi d'Italia, Antonio Ingroia, è emblematica del pasticciaccio brutto delle società partecipate. E val la pena raccontarla, insieme alle vicissitudini dell'ex pm ora amministratore unico (con un compenso da circa 50mila euro all'anno, che però grazie a Crocetta potrà essere aumentato perché per questa società sono stati aboliti i tetti), perché espressione di come il settore sia un autentica giungla, in cui è difficile districarsi. Anche per un esperto di legge come l'ex procuratore aggiunto di Palermo.

Tutto comincia nei primi mesi del governo Crocetta, a luglio del 2013, quando l'allora governatore tsunami preso dal sacro fuoco dell'innovazione annuncia a destra e a manca tagli drastici e nuovo corso. Compreso sulle partecipate. Compreso su quel carrozzone che è Sicilia e-Servizi, sui cui pende persino un'indagine dell'Europa, che chiede conto dei soldi sborsati. «Chiudiamo Sicilia e-Servizi – è l'annuncio del governo locale – e rivediamo il sistema di gestione informatica della Regione siciliana. Creeremo – è l'auspicio – un ufficio speciale che gestirà tutti gli appalti informatici». A settembre, dopo l'abbandono della toga da parte di Ingroia, il grande annuncio: l'ex procuratore aggiunto sarà il commissario liquidatore.

I primi guai cominciano lì. Il socio privato, la Sisev, che con la liquidazione la Regione (che deteneva il 51%) vuol estromettere resiste e critica la legittimità della nomina di Ingroia. Il braccio di ferro dura qualche mese. Ma poi si parte con la liquidazione. L'ex pm denuncia spese pazze per consulenze pregresse, va in procura. Ma poi si scontra con uno scoglio che adesso rischia di costargli carissimo: il destino dei dipendenti del socio privato estromesso, 73 persone. Detta legge il governo regionale, che decide: li riassorbiamo. E a mo' di giustificazione si adduce un problema non da poco: nessuno sa far funzionare il software, senza gli ex dipendenti Sisev il rischio è che in Sicilia si blocchino servizi essenziali quali il 118.

L'avvocato dello Stato dà parere favorevole. E Ingroia, su delibera della giunta regionale, dice sì: il personale sarà riassunto, a tempo determinato, previo breve periodo di prova ed esame da parte di una commissione super partes designata dallo stesso Ingroia. Si procede. Dopo le selezioni, restano fuori in 16. E qualcuno dei licenziati fa ricorso al giudice del lavoro. Contestualmente sul caso indaga anche la Corte dei conti. Si arriva così al paradosso di oggi, che vede l'amministratore unico Ingroia stretto tra due fuochi: da un lato la Corte dei conti contesta a lui, a Crocetta, all'avvocato dello Stato e agli assessori che si sono succeduti le assunzioni dei dipendenti del socio privato, quantificando il danno erariale complessivo in un milione di euro circa. Dall'altro il giudice del lavoro impone la riassunzione di alcuni licenziati, e per di più a tempo indeterminato. In mezzo ci sono le accuse della Guardia di finanza (pubblicate qualche giorno fa dal sito LiveSicilia ). Parlano di regole violate, di «chiamata diretta al buio» di personale sulla cui abilità informatica c'è qualche dubbio, tipo «ex ranger guardiaboschi, ex animatori di villaggi turistici, ex precari della politica». Insomma, un brutto pasticcio.

Che a Ingroia e Crocetta adesso rischia di costare molto caro.

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