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"Solidarietà e lavoro" per risalire. Parte la caccia del Pd ai delusi M5s

Ma Zingaretti esclude ogni ipotesi di maggioranze «alternative»

"Solidarietà e lavoro" per risalire. Parte la caccia del Pd ai delusi M5s

Roma Avere maggiore appeal di Di Maio, Fico e Di Battista messi insieme, per un elettore dei Cinquestelle che magari in passato aveva votato Pd. Detta così, ci potrebbe pure stare, la mission impossible del nuovo segretario del Pd. Si trattasse di Luca e non di Nicola, con rispetto parlando, sarebbe cosa fatta. A esserne conscio è il governatore del Lazio per primo, che mantiene un atteggiamento di subalterna ammirazione nei confronti del divo tv. «Non scherziamo - reagiva in un'intervista -. Luca fa 12 milioni di telespettatori, se io avessi 12 milioni di elettori...».

Già: sarebbe un'altra cosa, ma anche un altro Pd. Invece ci sarà molto da ricostruire, con tempi probabilmente lunghi (ieri i primi passi della nuova organizzazione, con il problema di gruppi parlamentari superfedeli a Renzi). Ma poi non è affatto detto che lo Zingaretti «minore» riesca a «bucare video» e cuori degli elettori con la stessa destrezza di Luca. La sfida lanciata al governo, per ora, mette in chiaro solo un profilo battagliero che, più che al dialogo con i 5S, mira a stanarli nelle loro inefficienze, ambiguità, debolezze. E in fin dei conti l'unica speranza del nuovo leader sembra quella di poter approfittare dei passi falsi di un partito mai nato attorno a Di Maio e di un governo «imballato». Ben descritto da Mattarella quando ha parlato di scelte politiche che, in un grande Paese, «sono impegnative, complesse, non possono essere adottate in maniera approssimativa, senza approfondita preparazione e studio, non possono essere prese per sentito dire». E ancora ieri, rimarcando i valori della solidarietà, dell'unità del Paese e della caduta dei pregiudizi, il Capo dello Stato è sembrato partecipe di questo improbo sforzo di rinascita del Pd affidato a Zingaretti. Il quale non è caduto nella prima delle trappole per lui ordite dai grillini, anche abbastanza scoperta: l'offerta di «convergenza» su un (futuro) provvedimento dei 5S a proposito del salario minimo. Tema di sinistra cui non si può dire «no», ma di cui esiste anche una proposta del Pd («votino i grillini la nostra», ha risposto correttamente la Boschi). Scontato e giusto perciò il «niente furbizie» con il quale il leader ha chiuso subito il pericoloso spiffero. Lo stesso su reddito di cittadinanza e «rider», argomenti che il Pd ormai critica solo nel merito o per il metodo, visto come sono «sentiti» dall'elettorato da recuperare. Così, mentre continuano a giungere echi di «sirene» che guardano a possibili intese M5S-Pd, diventa chiaro che i grillini utilizzano lo schema del Pd «dialogante» come forno per tenere Salvini sul chi va là. Una risicata maggioranza in Parlamento ci sarebbe, sulla carta, se M5S e Pd facessero sul serio. Ma il tema è tabù per entrambi, e Zingaretti ha fatto subito sapere che, in caso di caduta del governo, si andrebbe alle urne (è anche la posizione di Mattarella). Ne deriva una guerra di trincea, nella quale il segretario pd si limita a sganciare granate tattiche per rimarcare differenze e contraddizioni del governo. «Non devo rincorrere nessuno, tanto meno il M5S. Noi siamo coerenti, chi si è allontanato dai temi ambientali, attraverso la pratica dei condoni edilizi, non siamo noi», ha detto ieri. E su Salvini: «Sta affondando il Nord e l'economia italiana. Il sovranismo è un imbroglio, vinceremo togliendo le radici alla paura». O ancora: «Non è con i selfie o la propaganda, o gli attacchi agli immigrati o l'odio che si costruisce il futuro, ma grazie al lavoro e a nuove politiche industriali».

Sempre che il suo Pd ne sarà capace, un bel giorno.

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